I
protagonisti di “Fight
Club - La Prima Regola” sono
«figli indesiderati di Dio, non voluti dai padri»,
anime spezzate che cercano nel gruppo quel padre,
quel confine, quell’appartenenza che la vita
ha negato loro.
Sintesi del romanzo di
Palahniuk e dell’omonimo film di David Fincher,
lo spettacolo diretto da Leonardo Buttaroni presenta
Lui (Diego Migeni), un manager di una compagnia assicuratrice,
anima inquieta e vessata dal capo, deluso dal lavoro
e assiduo frequentatore di gruppi di auto-aiuto per
malati terminali. Qui conosce Marla (Cecilia Cinardi)
altra anima inquieta alla ricerca di una compagnia
amorosa. Né Marla né Lui sono malati:
solo in quei gruppi riescono a trovare la verità
delle persone autentiche. Eppure non sembra bastare.
L’incontro casuale di Lui con Tyler (Alessandro
Di Somma), un provocatore con una gran voglia di menare
le mani, dà vita ad un altro gruppo: in un
locale abbandonato i membri del club si picchiano,
secondo un codice stabilito.
Nelle note di regia si
legge che questo testo è un «viaggio
onirico». In effetti si sente il sapore del
thriller americano alla “American Psycho”
o del film “Ipotesi di complotto” con
Mel Gibson. Sembra un viaggio nella testa del protagonista:
passando da un aeroporto all’altro, nella solitudine
del viaggio, le paure e le ansie trovano riparo in
una fantasia che crea personaggi surreali, quasi proiezioni
mentali. Esiste davvero il Fight club o è solo
frutto dell’immaginazione di Lui?
Quelle
anime smarrite esistono, sono espressione dell’eterna
ricerca umana dell’assoluto, di un senso dell’esistenza,
trovata in luoghi inusuali. Ma che importa…Basta
che argini il mal di vivere. Il finale è circolare,
riporta alla scena iniziale, che evidenzia con forza
l’aspetto onirico della storia. La realizzazione
scenica è perfetta e i personaggi sono veri.
La regia di Buttaroni è tesa, dinamica, allarga
lo spazio scenico fino ad arrivare alle poltrone dello
spettatore, coinvolgendolo ma senza travolgerlo. Di
Somma è il bullo americano senza essere macchietta,
al limite tra verità e protezione ironica;
la Cinardi ricorda le dive anni ’40, fumo, mistero,
inquietudine; Migeni ha lo sguardo profondo e i passi
felpati dell’uomo sicuro di sé. Spettacolo
catartico: si guardano le proprie paure in forma quasi
fumettistica e si esce sollevati.
[deborah ferrucci]