Un
episodio banale e novantanove modi diversi di raccontarlo:
sono gli Esercizi di stile
di Raymond Queneau, del 1947. La complessità
linguistica del saggio è tale che la prima
versione italiana fu curata da Umberto Eco. Nella
traduzione e adattamento di Mario Moretti questi esercizi
sono invece a teatro da ben vent’anni e nel
tempo davvero non hanno perso lo smalto.
Gli
elementi scenici impiegati sono minimi: tre sedie
da sala d’aspetto, un tavolino e un attaccapanni,
sullo sfondo di un ambiente nero come la notte. Anche
perché lo spettacolo non è fatto di
ambienti bensì di parole, di gesti, di mimica
facciale, di voci e di corpi. Lo stile di questa performance
non è infatti limitato alla sola resa del testo
scritto, ma coinvolge le espressioni del volto, i
gesti e la postura. I tre interpreti sono vestiti
con completi bianchi basici cui aggiungono, di volta
in volta, qualche accessorio atto a individuare il
personaggio-narratore che stanno interpretando.
È mezzogiorno e, sulla piattaforma di un autobus
affollato, un giovane dal lungo collo e con un buffo
cappello accusa un anziano signore di pestargli apposta
i piedi; all’improvviso scorge un posto libero
e si precipita ad occuparlo. Due ore dopo, davanti
alla stazione, lo stesso giovane è visto discutere
con un amico circa l’opportunità di aggiungere
un bottone al suo cappotto. Questo è il fatto
narrato: in giapponese, in napoletano, da un gruppo
d'anziani, dai concorrenti di un quiz, e in molti
altri stili. Impossibile dire di più, questo
è uno spettacolo da vedere, E Guadagno, Modugno
e Pannofino sono tre cavalli di razza. Regalatevi
un’ora di buon teatro.
[marina viola]