Non
è solo il rifiuto. È anche la maledizione.
“Erodiade”
non perdona all’uomo di averle preferito un
dio che non conosce, un dio che la sua mente non arriva
a comprendere. Maria Paiato si contorce nel dolore
del racconto che ha portato alla morte di Giovanni
Battista. Una lunga veste rossa la fascia, lasciando
la schiena nuda; schiena che spesso è rivolta
al pubblico, nell’estasi nevrotica del dolore.
Una prova perfetta, un puro esercizio di stile. La
Paiato è sicura, precisa, non sbaglia un’intonazione,
non perde mai la concentrazione: si muove sinuosa
e volitiva quando mima Salomè, la figlia alla
quale commissiona la morte di Giovanni; diventa zoppicante
nel ricordo del dolore di femmina rifiutata.
La regia di Pierpaolo Sepe si avvale anche delle scelte
musicali di Pasquale Mari che nel connubio con le
luci incorniciano “Erodiade”. Circondata
dalla metallica scenografia di Ghisu, le luci la avvolgono
accompagnando ritmicamente il suo monologo allucinato.
Della perfezione dell’esecuzione non arriva,
però, molto oltre il palco. Un’attrice
eccellente come la Paiato pare metterci poco cuore,
perdendo un po’ in emozione e confezionando
il tutto con poca passione. Di certo non si può
dire che non ci sia bravura o che manchi il cosiddetto
“mestiere”.
Ma arrivare al cuore con un testo così ricco,
carico di parole, le stesse che lei pronuncia così
bene, è quel passo in più che avrebbe
conferito allo spettacolo quel livello di perfezione
che meritava. [patrizia
vitrugno]