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agosto 1999: un altro giorno di vergogna della Repubblica
Italiana. Il militare Emanuele Scieri, arrivato alla
caserma dei paracadutisti della Folgore di Pisa, La
Gomerra, viene trovato morto ai piedi della torre
di prosciugamento. Incidente, fatalità o atto
di nonnismo? Emanuele era «laureato, 26 anni»,
uno di quei «civili che hanno l’animo
dei militari» ricorda durante la deposizione
il generale Celentano, autore del noto breviario della
Naja “Lo Zibaldone”, elogio dei comportamenti
‘machi’, dei riti di iniziazione militare,
delle storielle pecorecce. Il testo teatrale “Emanuele
Scieri” scritto da Isabella Guarrino e Corrado
Scieri, ricostruisce i fatti dell’omicidio con
deposizioni dei protagonisti, perizie degli esperti
e interrogazioni al Senato. La forma drammaturgica
prescelta è quella del coro, con la messa in
scena finale dei fatti avvenuti quella notte: i militari
anziani (i nonni), che accerchiano Emanuele con la
complicità di un commilitone codardo (Viberi,
una sorta di Don Abbondio dei giorni nostri) e lo
costringono a salire sulla scala non protetta di una
torre, con le scarpe allacciate e le mani calpestate
da un commilitone. Emanuele cade nel vuoto. Violenza
che giunge al sacrificio umano, panico generale e
chiamata notturna ai capi: «Lasciate che muoia,
sembrerà un incidente». Perché?
Semplice: Emanuele minacciava di denunciarli.
Emanuele
è un Cristo deposto tra le braccia del coro.
Nessun colpevole, il procuratore Iannelli ammetterà
poi: «Ci sta che un rebus non venga risolto».
La responsabilità individuale e collettiva
di questo Paese, abisso che non conosce mai fondo,
è la vera grande assente. I commilitoni negano,
i capi negano. In fondo «Negare, sempre negare»
non è la più valida espressione del
machismo italico? I parlamentari italiani s’interessano
alla vicenda fino a quando è “calda”,
si vive di comunicazione non di contenuto né
di etica. Spente le luci dei riflettori, la storia
non esiste più; emblema dell’Italia odierna:
assenza assoluta di responsabilità e «tanto
rumore per nulla».
Onore
ai genitori del ragazzo ucciso, che hanno trovato
la forza di raccontare il dramma per trovare ascolto,
magari nella parte buona e onesta del Paese, che fatica
ad affermarsi e che dovrebbe indignarsi di più.
Impossibile rimanere indifferenti a tanto dolore:
neanche gli attori del coro ci riescono, le loro voci
sono spesso sopra le righe nella narrazione, più
vere nell’interpretazione dei protagonisti della
storia. Giuseppe Alagna nella parte del padre di Emanuele
e del Generale Celentano interpreta i personaggi senza
rabbia, nella più profonda umanità,
nel bene e nel male.
Per
non dimenticare.
[deborah ferrucci]