Premesso
che un testo originale e contemporaneo vada comunque
apprezzato per il coraggio di uscire dal percorso
rassicurante degli autori teatrali conosciuti, lo
spettacolo Elisa Cruz
di Vincenzo Manna è un’occasione mancata.
L’idea di raccontare la storia di una prostituta
in uno squallido quartiere periferico di una città,
poteva essere declinata in vari modi. E proprio qui
sta il problema: non c’è una scelta,
non è chiaro se dipenda dal regista o dallo
scrittore. Non si sceglie di approfondire il rapporto
tra la prostituta e il fratello, non si sceglie la
strada dello squallore metropolitano, non si sceglie
la via del caos, non si sceglie il punto di vista
della prostituta o di approfondire l’apparente
ambiguità tra il mestiere di Elisa e il suo
aspetto infantile e candido.
Si mischia tutto in superficie e il risultato è
che nonostante tutti e tre gli attori si donino allo
spettacolo, le emozioni non arrivano: non c’è
una guida, una direzione. Quando il testo è
asciutto, come in questo caso, il sentimento espresso
deve essere vero, non può essere recitato.
Elisa Di Eusanio ha una bella fisicità, ha
lavorato sull’espressione corporea del personaggio,
ma non sulla voce (colpa del testo troppo lungo? Di
maturazione personale?). Roberto Manzi è nello
spazio scenico, ma urla troppo e non dà emozioni
al personaggio. Marco Grossi, il cliente della prostituta,
è l’attore che sulla scena ha trovato
il giusto equilibrio tra corpo e voce.
Il testo, forse andrebbe rivisto, approfondito e la
regia dovrebbe avere un indirizzo più definito.
[deborah ferrucci]