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Anno
2012
Genere
commedia
In
scena
fino al 24 marzo
Teatro Arvalia | Roma
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Autore |
Gino
Auriuso |
Regia |
Gino
Auriuso |
Scene |
Maria
Francesca Serpe |
Costumi |
Maria
Francesca Serpe |
Luci |
Vasco
Montez |
Interpreti |
Gino
Auriuso, Irma Ciaramella, Eduardo Ricciardelli, Maria
Teresa Pascale, Manuel Fiorentini |
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Il
teatro di Eduardo De Filippo (1900-1984) rappresenta l’ultima
grande espressione di una Napoli frantumata e perduta per sempre.
La lacerazione del tessuto familiare, l’autenticità
dei sentimenti popolari, le usanze più semplici e le
piccole ossessioni dei personaggi sono il centro nevralgico
di un’opera vastissima, perennemente in bilico tra pessimismo
e speranza. Oggi, a quasi tre decenni dalla scomparsa dell’autore,
è lecito domandarsi se e, soprattutto, come il teatro
di Eduardo può sopravvivere una volta sganciato dall’estetica
novecentesca in cui è stato concepito.
Lo spettacolo messo in scena da Gino Auriuso si pone al di là
dei recuperi retorici che hanno banalizzato una figura così
complessa, calando in un contesto completamente diverso gli
elementi chiave del teatro eduardiano, in un processo di destrutturazione
che non risparmia costumi, odori, oggettistica, gesti e suoni.
Il prologo di “Eduardo”
costringe quattro figure in un cono d’ombra: due donne
e due uomini che, a un primo sguardo distratto, sembrano emergere
da una delle ultimissime opere di Pirandello. La prima breve
parte, per lo più giocata sulle dichiarazioni d’amore
che, nel corso degli anni, Eduardo ha dedicato al mestiere dell’uomo
di teatro, è probabilmente quella meno riuscita.
Gli interpreti sono sempre all’altezza, ma iniziano a
brillare solo a partire dalla seconda scena, caratterizzata
dal memorabile dialogo tra Pasquale e Raffaele che apre “Questi
Fantasmi”. Da segnalare che entrambi gli
attori recitano appollaiati su una scala di legno, come in un’opera
del teatro dell’assurdo. Nella parte successiva, seduti
su due sedie contrapposte, Don Domenico Soriano e Filumena Marturano
hanno la loro ultima discussione prima di convolare a nozze
in una delle scene indimenticabili di questo dramma napoletano.
Nel mezzo, in un gioco riuscito di luci ed ombre, Maria Teresa
Pascale recita “Io vulesse
truva’ pace”, la poesia più
toccante di Eduardo. La scenografia, piuttosto disadorna ma
senza mai dare l’impressione del vuoto, è più
che mai abbinata all’uso sapiente delle luci. Le tonalità
scure fermano i dialoghi, mentre il rosso più intenso
è riverberato su immagini tratte dalla religiosità
popolare. “Eduardo”
si avvale delle musiche per chitarra suonate dal vivo da Manuel
Fiorentini.
[valerio refat]
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