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Autore:
Sofocle |
Traduzione:
Raul
Montanari |
Regia:
Antonio
Calenda |
Scene:
Pier Paolo Bisleri |
Costumi:
Stefano Nicolao |
Luci:
Gigi Saccomandi |
Musica:
Germano Mazzochetti |
Produzione:
Teatro Stabile Friuli Venezia Giulia,
Teatro de Gli Incamminati, Teatro di Messina |
Interpreti:
Franco
Branciaroli, Giancarlo Cortesi, Emanuele Fortunati,
Gianfranco Quero, Alfonso Veneroso,
Livio Bisignano, Tino Calabrò, Angelo Campolo,
Filippo De Toro, Luca Fiorino, Luigi Rizzo |
Anno
di produzione: 2010 |
Genere:
tragedia |
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“Uomini della mia patria, guardate, questo è
Edipo che scioglieva celebri enigmi ed era il più
potente tra noi e non senza invidia lo guardavamo.
In quale gorgo di sciagura annega! No, non credete
alla felicità di nessun uomo prima che oltrepassi
senza dolore l’ultimo traguardo per giudicare
una vita: aspettate!”. Guardate Edipo, Tiresia
e poi Giocasta. Guardateli assieme e separatamente.
Assieme perché così sono nell’unicum
di Branciaroli; separatamente perché dei tre
ne esprime le diverse personalità. Una scarpa
rossa, un drappo, uno svarione vocale, un letto per
raccontare se stesso, i suoi tanti io. “Questo
giorno ti farà nascere e poi ti annienterà!”.
L’analista è sempre lì, di schiena,
ascolta il turbinio di voci e persone che vivono nella
testa di Edipo. Tragedia nella tragedia, un uomo che
combatte contro se stesso e contro il proprio terribile
destino. Tagli di luce inquadrano il coro, sollevandolo
verso atmosfere caravaggesche. In fondo, dietro uno
squarcio che illumina il buio, i tanti e ordinati
occhi dei coreuti. Occhi che scrutano e fanno da ponte
tra sogno e veglia. È lo stesso coro che divide
il servo, in un groviglio di braccia e gambe, ognuno
a simboleggiare una parte del tutto, nell’angoscioso
e disperato atto della confessione/rivelazione dell’enigma.
Intero
e diviso, totale e parziale. Edipo è la mente
umana, simbolo e prototipo. Calenda gioca su questo,
si rifà al mito greco di cui parla la psicanalisi,
da Freud a Lacan. Si poggia su un gioco di luci avvolgenti,
che hanno la maestria di Gigi Saccomandi. In ottanta
minuti condensa il travaglio di uomo, aprendoci la
sua psiche. Provocandoci. E conquistandoci. [patrizia
vitrugno]
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