Negli
Anni '40 con l'entrata in vigore delle leggi sulla
discriminazione razziale, emanata dal regime fascista,
molti ebrei avevano pensato di salvaguardare i loro
beni da possibili espropri, intestando ogni cosa a
fidati prestanome di razza ariana. Marcello Consalvi
è uno di questi: vive agiatamente nell'appartamento
del Padrone con la moglie Immacolata, quando un'ombra
del passato, capace di mettere in discussione lo status
quo acquisito, non bussa alla loro porta.
“L'Ebreo nasce
dal desiderio – racconta l'autore Gianni Clementi
vincitore con questo testo del Premio Siae-Eti-Agis
nel 2007 – di indagare l'animo umano. In particolare
il grado di aberrazione che un essere umano può
raggiungere pur di non rinunciare ai suoi privilegi”.
Siamo nella Roma del 1956, quella della famosa nevicata
di Mia Martini, in pieno dopoguerra. La città
è in mano ad una classe di cafoni arricchiti
che vivono di usura e proprietà usurpate o
acquisite dagli ebrei padroni di palazzine per tutta
la città e nel ghetto. La scelta espressiva
del romano si inquadra nell'esigenza di proporre un'ambientazione
ideale come il Ghetto di Roma da una parte, dall'altra
per esaltare in senso teatrale il cinismo e la follia
dei protagonisti, continua l'autore.
In un unico ambiente ci vengono presentati i protagonisti
di questa commedia dai toni gravi, incentrata sulle
dinamiche familiari di Marcello: un vaso di coccio
in mezzo a tanti vasi di ferro e Immacolata (Ornella
Muti), vera deus ex machina della vicenda che parla,
agisce, mente, circuisce, seduce ed inganna l'ingenuo
marito (Emilio Bonucci) ed il di lui tonto amico (Pino
Quartullo) con l'unico dichiarato obiettivo: “Io
a fare la serva nun ce torno”.
Si perché sembra, anche se la certezza manca,
che il vecchio Padrone sia tornato a reclamare i propri
beni. Paura, senso di colpa, arroganza, commiserazione
condiscono i caratteri dei personaggi in campo, presentati
nelle loro debolezze umane e comprensibili. Il nocciolo
della questione è che si fa fatica a non fare
il tifo per questi poveri diavoli, ridendo con loro
sugli stereotipi razziali, attraverso sorrisi che
si fanno sempre più amari e risate spente da
un senso di vergogna profondo. Destabilizzante.
Ottimo il debutto sulla scena teatrale di Ornella
Muti, sulla quale i nostri “pregiudizi”
e perplessità si era concentrate. Ma sono bastati
pochi minuti per conquistarci con la sua Immacolata,
matrona del fuoco domestico e vera amministratrice
del patrimonio familiare. Un personaggio tra Lady
Macbeth e Crudelia De Mon che ci fa divertire ed al
contempo vergognare con i suoi vizi e pregiudizi.
La Muti forma insieme ad Emilio Bonucci e Pino Quartullo
un trio capace di esaltare le implicazioni recondite
del testo, che superficialmente potrebbe apparire
una semplice commedia, ma che in realtà è
un vero trattato sociologico sulla natura umana, quella
che vorremmo tenere nascondere agli occhi degli altri.
[fabio melandri]