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dopo una breve pausa, lo spettacolo di Marco Travaglio
“E’ Stato
la Mafia” in scena al Sala Umberto
fino al 6 ottobre, per la regia di Stefania De Santis,
con le musiche di Valentino Corvino e letture di Isabella
Ferrari. È l’occasione per raccontare le
vicende avvenute dopo le stragi del ’92/’93
ed insieme è una lezione eccellente, a tratti
tragicomica, di storiografia del nostro Paese, con protagonisti
lo Stato e Cosa Nostra. Ci sono due modi per raccontare
questa storia: la prima è quella dei giornali,
della televisione, dei mass media; la seconda è
quella dei personaggi, dei documenti, dei processi.
Travaglio sceglie quest’ultima per rivelare gli
accordi sotterranei, la politica sporca, la successione
infinita di intrighi e di sotterfugi che hanno dato
vita alla trattativa tra Stato e Mafia. Un patto balordo,
per porre fine alla stagione stragista, in cambio dell’attenuazione
di misure detentive previste dall'articolo 41 bis.
Un’Italia venduta quella che Travaglio descrive,
in un racconto che lascia dentro un senso di sconforto
e rabbia, quel «disprezzo antropologico»
come lo definiva Pier Paolo Pasolini, già accortosi
dell’atteggiamento coatto del potere dei consumi.
Lo stesso vuoto di potere colmato dalla politica attuale.
La lungimiranza di Pasolini è anche quella di
Giorgio Gaber, la stessa di Sandro Pertini e di Piero
Calamandrei, letta da Isabella Ferrari. Tra una scena
e l’altra, cambiano foto e parole, ma non il senso.
Esiste nei testi un’adesione fedele alla politica
sana e il rifiuto categorico della trattativa con la
criminalità. Le due poltroncine rosse al centro
del palcoscenico scandiscono i tempi del teatro, delimitano
gli spazi tra cronaca e interpretazione attoriale.
Il racconto fattuale di Travaglio è fitto di
luoghi, di date, di accusati e accusatori; si viene
bombardati da un collage di microstorie, tasselli di
un’unica verità. E proprio la verità
viene a galla a ritmo di ironia, di battute pesanti,
di sarcasmo freddo. In sala si ride alla beffarda ridicolizzazione
dei politici, ci si commuove al ricordo delle stragi,
ci si conforta con le citazioni ben interpretate dalla
Ferrari. I due si spartiscono la scena, si rincorrono
dal teatro alla storia. Dalla lettura drammatizzata,
puntuale e intonata dell’attrice emiliana, al
linguaggio didascalico, istintivo e disinvolto del giornalista.
Un teatro civile a metà, che da una parte si
colora delle sfumature del dramma attraverso i brani
scelti e dall’altra attraverso la notizia. Due
mondi paralleli e comunicanti, uniti da un unico intento:
risvegliare dall’indifferenza individualistica.
E quando il buio cala sul palco e la musica stridula
del violino si spegne, si esce in un silenzio rabbioso,
con maggiore consapevolezza. Si torna alla vita di sempre
con un senso di sgomento, con il ricordo di chi italiano
lo è stato sul serio e con la voglia di raccontare
questa storia nelle scuole, nelle piazze e nelle università.
Perché tutto si sappia. [serena
giorgi]
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