Giulia
(Pia Engleberth) e Rinaldo (Roberto D'Alessandro)
si sono conosciuti negli anni Settanta, durante le
lotte studentesche e le manifestazioni di protesta
contro il sistema. Giulia, dopo vent'anni, è
ancora politicamente impegnata e divide la sua esistenza
tra la famiglia, i figli e la sezione di Rifondazione;
Rinaldo invece è passato da Democrazia Proletaria
al Partito Democratico, in fondo ha solo invertito
due lettere da DP a PD, da Capanna a Veltroni. Lavora
nel suo studio professionale e vede, con rammarico,
raffreddarsi il rapporto con la moglie, sempre più
lontana e distaccata. Nilde (Claudia Campagnola),
la figlia, ha la passione per la pittura e riempie
le pareti di casa di quadri multicolori che non riesce
a vendere, Enrico (Romano Fortuna), il fratello, è
fidanzato con la figlia di un avvocato di grido e
decide di buttarsi in politica, all'insaputa dei due
impegnati genitori.
Una situazione di calma apparente, che esplode con
l'arrivo in casa della zia calabrese Maria (Maria
Lauria) accompagnata dalle piccanti specialità
gastronomiche e crisi matrimoniali. “E
pensare che eravamo comunisti” inaugura
con un certo anticipo rispetto agli altri teatri romani,
la stagione 2010-2011 dello storico teatro Sala Umberto
di Via della Mercede. Una commedia con al centro una
famiglia radical-chic, che lotta per i poveri della
terra, ma vive in un attico ai Parioli, con il domestico
di colore Oba, supportato/sopportato a fatica per
essere più democratici e progressisti di altri.
Il testo ha l'obiettivo di raccontare la crisi degli
ideali politici e sociali della sinistra italiana,
i vizi e le virtù, le incongruenze e talvolta
incapacità a comprendere il presente ed affrontare
il futuro.
Ciò
che lascia perplessi è innanzitutto il modo.
Roberto D'Alessadro - protagonista, autore e regista
della commedia – usa i toni della commedia per
creare un distacco dal quotidiano, tuffandosi nella
farsa, nella commedia sofisticata, nel pamphlet politico
senza soluzione di continuità. Il tutto a discapito
di un'omogeneità di racconto ed efficacia di
messaggio abbastanza evidente e in alcuni passaggi
stridente. A tinte chiaroscurali anche la resa della
compagnia: godibili le protagoniste femminili Maria
Lauria e Pia Engleberth a cui lo script riserva i
migliori momenti dello spettacolo, mentre Roberto
D'Alessandro utilizza bene la sua presenza fisica,
per donare simpatia al personaggio di padre sull'orlo
di una crisi matrimoniale.
Da rivedere i giovani della compagnia. Claudia Campagnola
e Romano Fortuna nella parte dei fratelli appaiono
sin troppo ingessati nei ruoli, più attenti
ad una perfetta dizione e recitazione, macchiata dall'emozione
del debutto, piuttosto che a dare vita ai loro personaggi.
Meccanico, sopra le righe e troppo ammiccante verso
il pubblico Simon Tagliaferri nel ruolo del cameriere
Oba, personaggio clownesco che risulta più
irritante che divertente, non aiutato in questo da
una sceneggiatura che gli riserva l'aspetto “morale
ed esplicativo” della vicenda. Nel complesso
più ombre che luci. [fabio
melandri]