Vincitore
del Premio Scenario per Ustica 2011, In-Box 2012 e
del Premio internazionale Teatro Nudo di Teresa Pomodoro
2013, “Due passi
sono” spiazza e intriga da subito
per il singolare impianto scenico. Su uno spazio ritagliato
a scacchi, i due piccoli e curiosi protagonisti Pe
(Giuseppe Carullo) e Cri (Cristiana Minasi) se ne
stanno seduti su delle sedie rosa, vicini ma con gli
schienali contrapposti come se un impedimento li limitasse.
Illuminati inizialmente da una lampada a stelo, con
accanto una lunga bottiglia di plastica e un vaso
con un grosso fiore di tessuto ricamato all'uncinetto
allungabile a piacimento, i due sembrano vivere una
quotidianità da gioco d’infanzia inventato,
paradossale quanto terribile nelle rigide regolamentazioni.
Lo
spettacolo viaggia tra l’onirico e il simbolico,
il poetico e l’autoironico in un meccanismo
da teatro dell’assurdo contemporaneo dove ci
si parla ma non ci si guarda spesso, ci si tocca amorevolmente
ma solo con guanti di lattice, combattuti tra il desiderio
e la paura di realizzarlo. Un inno alla vita sui generis,
a realizzare tanto concretamente quanto emotivamente
i piccoli grandi sogni a dispetto di qualsivoglia
condizionamento fisico-reale o fittizio che sia: Pe
vorrebbe alzarsi e uscire fuori, ma ha le gambe molli;
Cri si prende cura di lui contandogli le pillole che
dovrà prendere e selezionando attentamente
i cibi che può mangiare. Sembrano soli ma affrontano
la vita sdrammatizzando con fantasia la loro condizione.
Così si alternano momenti d’attesa e
di silenzio a intermezzi di giocosa ripetizione, accompagnati
da noti sottofondi musicali della tradizione novecentesca
francese. Si parla delle nozze che non ci si può
permettere, di un possibile futuro all’orizzonte,
di figli che potrebbero essere brutti ma forse intelligenti.
“Un
amore particolare” il loro, che arriverà
al culmine sul finale, suggellato da un matrimonio
che sorprende quanto un gioco di prestigio. Grazie
ai dialetti (siciliano lei, calabrese lui), i due
conferiscono credibilità e attualità
alla storia, dimostrandosi capaci di reggere la scena
e dettarne i ritmi. Il disegno luci, seppur vincolato
ai limiti spaziali, è interessante e si armonizza
bene con la scenografia minimale ma curata di Cinzia
Muscolino, attenta nella scelta delle tinte in armonia
con costumi. Uno spettacolo innovativo e con potenziale,
di breve durata, che però scivola in una retorica
talvolta banale, compromettendone la forza poetica
e disorientando a tratti nella ricerca di un messaggio
più ampio. Interessante, per chi voglia di
sperimentare qualcosa di alternativo.
[benedetta corà]