Simone de Beauvoir
scrisse “Una donna
spezzata” alla vigilia del 1968,
anticipando i fermenti che, di lì a pochi anni,
avrebbero contribuito all’affermazione di una
nuova consapevolezza femminile. Il romanzo originario
è suddiviso in tre parti, con protagoniste
una casalinga, una studiosa di letteratura francese
e una madre sola nella notte di Capodanno. Il doloroso
delirio monologante di quest’ultima è
al centro dell’allestimento in scena al Teatro
Belli, con una sorprendente Isabel Russinova. La donna
in questione emerge dal buio che ne avvolge l’appartamento
borghese per inveire, con un linguaggio oltre il limite
della volgarità, contro gli automobilisti che
strombazzano sui boulevard i festa, contro i giovani
che affollano i marciapiedi in attesa del nuovo anno
e contro i vicini di casa pronti a tirare fino al
mattino.
Strangolata da
una solitudine senza scampo, la protagonista racconta
le tappe decisive di una vicenda esistenziale segnata
in origine da un rapporto burrascoso con la figura
materna e dall’insofferenza verso regole sempre
più stringenti e culminata anni dopo nel suicidio
della figlia adolescente. Diretta da Rodolfo Martinelli,
la Russinova riesce senza troppi artifici ad attualizzare
l’atto d’accusa celato nel testo della
de Beauvoir, rivolgendo i suoi strali verso una società
dei consumi dalla faccia feroce.
Nonostante il
ritmo serrato e la forza dei temi trattati, per lo
spettatore è arduo entrare in empatia con un
personaggio che, tutto sommato, rimane freddo. Nell’allestimento
le musiche di Antonio Nasca giocano un ruolo di primo
piano, conferendo respiro al monologo nei momenti
culminanti. Molto ben dosato l’uso delle luci,
che dal buio iniziale finiscono per volgere nel rosso
acceso che chiude la scena. La scenografia ricompone
i tratti del tipico appartamento borghese di un tempo,
con un grande divano ad occupare il proscenio.
[valerio refat]