“Il
discorso del Re” a teatro, per la regia
di Luca Barbareschi è innanzitutto un’opera ammiccante.
Strizza l’occhio al pubblico, chiama applausi e risate.
È un’operazione commerciale. In questo, ovviamente,
non c’è nulla di male. Se non fosse che la storia
e la riuscita dell’intero spettacolo ne risentono.
La piéce ha di certo un
suo ritmo, si seguono senza incertezze le due ore e mezzo
in cui si snodano le vicende del re balbuziente e del suo
maestro. La scenografia aiuta, perché composta da rulli
ottagonali che, ruotando, ricreano gli sfondi delle diverse
ambientazioni.
Il buio, però, la fa da
padrone: spesso gli attori non sono illuminati o lo sono parzialmente
o in maniera imprecisa e il tutto è immerso in un’atmosfera
sempre troppo mesta rispetto a quello che la storia richiederebbe.
Poi ci sono gli attori. Filippo
Dini (Giorgio VI) è bravo, forse anche troppo per un’operazione
di questo tipo. Salva lo spettacolo dandogli uno spessore
che altrimenti non avrebbe. Luca Barbareschi (il maestro/attore
Lionel Logue) è convincente ma fin troppo convinto
della sua padronanza del personaggio. E questa sicurezza lo
spinge spesso su un livello cabarettistico, che poco o nulla
si addice al co-protagonista.
Il resto della compagnia delude.
Le due donne Chiara Claudi (Myrtle Logue) e Astrid Meloni
(Elizabeth, la Duchessa di York) sono spesso poco credibili
e macchinose nella recitazione, mentre Mauro Santopietro,
il fratello del re ed erede al trono, è esasperato
e caricaturale.
Questo “Discorso
del Re” è molto vicino al pubblico.
Un po’ meno a un pubblico di teatro.
[patrizia vitrugno]