E'
una vera "Danza di Morte",
quella scritta dal drammaturgo svedese August Strindberg
e messa in scena da Gabriele Lavia e Monica Guerritore.
Attraverso una lenta agonia, si consuma il rapporto
tra Alice e il Capitano, sposati da 25 anni e prigionieri
di loro stessi nel totale isolamento dell'isola che
hanno scelto per vivere. Quasi a simbolo della tomba
che è divenuto il loro matrimonio. Ridono,
si insultano, si perdonano. In un perfetto equilibrio
di follia.
In questo non paiono così diversi da tante
coppie che condividono l'esistenza da un ragionevole
numero di anni. "Stai zitta, fammi sentire",
le dice lui prima ancora che ella abbia detto una
sola parola. Tipico. Per il Capitano, Alice è
il demonio e la loro convivenza è un inferno.
Ma il loro disprezzo reciproco è un legame
più forte di qualunque cosa. Una catena che
solo la morte potrà spezzare. E i dialoghi
sono condotti con una ferocia spesso totale, eppure
all'interno di un clima quasi comico. Sarà
l'arrivo sull'isola del cugino di Alice a far crollare
questo equilibrio...
La
scena nella quale si svolge il dramma è assai
suggestiva: gli elementi che delineano la casa sono
poggiati, in parte interrati, su una montagna di sabbia.
Un divano, un armadio pieno di abiti impolverati,
una porta, una finestra e un mucchio di cianfrusaglie
che appartengono al Capitano. Anche l'utilizzo delle
luci è accurato, sinergico con l'azione scenica:
delimita i confini della torre che imprigiona la coppia.
Lavia e la Guerritore hanno una padronanza del palcoscenico
e dei dialoghi tale che non si fatica affatto a credere
reale la guerra psicologica ingaggiata dalla coppia.
Con una simile performance e con gli ingredienti perfettamente
dosati, il risultato della rappresentazione è
quanto di meglio ci si possa aspettare.
[marina
viola]