«Catartico»,
commenta una spettatrice alla fine dello spettacolo
“Cuori monolocali”,
colpita favorevolmente dalle vicende dei due protagonisti
maschili. Dopo tanti spettacoli su donne che si sfogano
dei complicati rapporti con l’altro sesso (uno
su tutti Francesca Reggiani con “Quello che gli
uomini non dicono”), in “Cuori
monolocali” l’uomo esce
dalla caverna e fa outing. Verrebbe da dire: «Era
ora, finalmente arriva la risposta dell’universo
maschile». Non sarà un caso che lo sfogo
venga dai maschi trentenni, evidentemente più
abituati a confrontarsi con le emozioni e i sentimenti
rispetto alle generazioni precedenti.
Nel primo monologo lui
(Alessandro di Somma) è un trentenne “amletico”
che elenca le tattiche per avvicinare le ragazze,
quali abiti indossare per fare colpo ma non troppo
(«troppo elegante no, fai la figura di quello
che sta all’ultima spiaggia»), il caffè
insieme, la cena al ristorante, quello che pensa lei
(incontra il ragazzo prescelto ma si guarda molto
intorno casomai dovesse passare il principe azzurro)
quello che pensa lui in quei frangenti, il paradosso
di un eccesso di libertà e di scelta che genera
l’abbuffata o un senso di smarrimento proprio
come l’offerta di prodotti al supermercato,
il marketing delle lenzuola. C’è molta
ironia maschile sulle donne, molti quadretti in cui
riconoscersi: da lei lasciata dall’uomo di turno
che si consola con la visione della serie completa
di “Sex & the City”, a quella che
gli chiede di essere autentico, ma che poi si scandalizza
quando lo fa.
Il secondo monologo interpretato
da Ermenegildo Marciante mostra l’ex bruttino
che, dopo aver preso il due di picche si attrezza
e scopre tutti i trucchi del seduttore incallito,
anche se poi non si ricorda chi ha nel letto, tra
sbronze e cambi repentini di programma causati dall’amico
Alfredo. La sua interpretazione è molto versatile,
ballerina, linguistica (attraversa i dialetti con
facilità). In sintesi, sono un bel rompicapo
le relazioni sentimentali.
Le trovate della scrittura
e della regia sono divertenti come l’ambientazione
e gli oggetti infantili che dicono più di mille
parole sulla sindrome di Peter Pan, o la mano simil
“Famiglia Adams” che emerge dalle quinte
dell’attrice/autrice Maria Antonia Fama, presenza
discreta dell’universo femminile. C’è
ritmo, musiche accattivanti, un testo scritto a due
mani da Fama e Misuraca che non scade mai nella banalità
nonostante l’argomento. Raramente, ma va comunque
tenuto sotto controllo, gli attori si lasciano andare
a parole e gesti fuori testo che nulla aggiungerebbero
ai dialoghi, alla convincente interpretazione e alla
resa scenica in generale.
Godibile
per tutti i cuori, in particolare quelli infranti
che vogliano curare le proprie ferite con una sana
risata. [deborah
ferrucci]