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Anno
2012
Genere
drammatico
In
scena
fino al 6 ottobre
Teatro Vittoria | Roma
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Autore |
Fedor
Dostoevskij |
Adattamento/Traduzione |
Enoch
Marrella |
Regia |
Enoch
Marrella |
Scene |
Selena
Garau |
Costumi |
Stefania
Ponsele |
Luci |
Astrid
Jaotsti |
Interpreti |
Enoch
Marrella,
Edoardo Ripani |
Produzione |
Teatro
Vittoria |
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Scena
ristretta ad un quadrato, una scala che si perde verso l’alto…
Via verso l’infinito del film “L’albero della
vita” di Malick, o è la via di fuga dall’inferno
dell’ordinarietà?
La scena è la ridotta vita di Vassia (Enoch Marrella)
umile impiegato della Russia di metà ‘800, che
non regge alla felicità di sposarsi con Lisanka, alla
benevolenza del suo benefattore e all’amicizia di Arkadi
(Edoardo Ripani). Fugge allora militare proprio per non godersi
tutta questa felicità che pensa di non meritare.
Le movenze corporee limitate e robotiche di Vassia sono il
riflesso dello spazio angusto in cui si muove, lo spazio/prigione
della sua mancanza di fiducia e amore per se stesso: nasce
povero e si sente ancora tale ora che ha un benefattore, non
riesce ad affrancarsi dalle sue origini, dovrebbe affrontare
l’ignoto. Paura, umana, molto umana. I condizionamenti
ambientali sono forti, tema importantissimo e universale,
e qui sta il limite dello spettacolo. È come se Vassia,
non riuscisse a trovare la scala per superare quel quadrato
di spazio che si è ritagliato nel mondo, non avesse
ali per volare, tarpate prima di poter pensare il possibile.
Nei dialoghi non ci sono accenti (le voci degli attori dovrebbero
essere più potenti), tutto scorre liscio, né
rassegnato né triste, normale.
Siamo a teatro, sintesi della
vita, i toni devono essere più alti per farsi ascoltare,
per catturare l’attenzione del pubblico. Manca una chiave
interpretativa forte che trascini la storia, che rischia di
diventare la vita quotidiana di una persona qualsiasi, non
il simbolo di quella vita. Viene in mente un altro spettacolo
tratto da un romanzo di Dostoevskij, “Dèmoni”
con la regia di Peter Stein: il regista tedesco amplificava
e condensava tutti i sentimenti accennati in pagine e pagine
del romanzo perché consapevole di quanto il linguaggio
letterario sia diverso da quello teatrale. Lo spazio fisico
e il pubblico sono diversi: aperto e collettivo nel teatro,
singolo e domestico in letteratura.
“Cuore
debole” s’inserisce nella Rassegna
teatrale “Salviamo i Talenti” organizzata dal
Teatro Vittoria, giunta alla sua quarta edizione, sulla copertina
del premio Attilio Corsini che verrà assegnato allo
spettacolo vincitore c’è un bel panda con il
suo cucciolo: “I talenti sono in estinzione e vanno
protetti?”. Lo spettacolo ha un titolo pieno di promesse,
è tratto dal racconto omonimo di Dostoevskij. Ci si
aspetta quindi profondità, intensità, che sia
una freccia che arrivi al cuore. Invece, forse per essere
troppo fedele al testo, è solo una fotografia che non
emerge dalla camera oscura, una scultura che non si libera
dal marmo. È debole. Al protagonista autore della versione
teatrale, Vassia-Marrella, verrebbe da dire: «Tradisci
l’autore e osa qualcosa di nuovo, uno stile che sia
tuo, magari opinabile, ma tuo».
[deborah ferrucci]
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