«Sono un
saltimbanco, mi sento un attore, uno showman, un commediante.
Uno che canta, recita, balla». Così racconta
Christian De Sica nello spettacolo/varietà
“Cinecittà”.
E precisa: «Quando si fa questo mestiere, si
dovrebbe saper fare tutto».
In scena un patchwork di ricordi, canzoni, balletti,
gag e ‘prove d'attore’ dal sapore di varietà
televisivo d'altri tempi, grazie anche alle coreografie
di Franco Miseria e alla regia di Gianpiero Solari.
Come si chiamano gli studi cinematografici in Francia?
E in Inghilterra? E in Germania? Se escludiamo gli
addetti ai lavori e i diretti interessati, nessuno
lo sa. Oltre ad Hollywood, l'unico altro termine conosciuto
universalmente è Cinecittà. Una parola
che racchiude insieme un meraviglioso mondo, un secolo
di storia del cinema fatta da geni dell’arte,
ma anche da migliaia di comparse, fatta d’indimenticabili
musiche, parole e canzoni. Una storia che appartiene
alla cultura italiana ma che è stata fondamentale
per tutto il cinema a livello internazionale.
E De Sica ci racconta
la ‘sua‘ Cinecittà, inizialmente
conosciuta in prima persona grazie al padre Vittorio
e alla madre Maria Mercader. Entratoci come comparsa
da adolescente in incognito dal padre e poi da affermato
attore di cinepanettoni, De Sica rievoca la Cinecittà
di ieri, casa di Luchino Visconti, Marcello Mastroianni,
Federico Fellini, Sophia Loren, Alberto Sordi e Roberto
Rossellini. Fino ai Kolossal americani della Hollywood
sul Tevere, per arrivare all'oggi in cui lo Studio
5 (rievocate nelle scene multimediali di Patrizia
Bocconi e Cristina Redini), è prigioniero della
televisione, del Grande Fratello e degli Amici di
Maria De Filippi.
L’attore
dà il meglio di sé nei monologhi in
cui rievoca episodi privati che si celano dietro la
vita pubblica dei maestri del cinema italiano (raccolti
nel bellissimo libro “Figlio
di papà” edito da Mondadori):
dal film mai girato dal padre Vittorio “La Porta
del cielo” grazie al quale salvò 300
tra ebrei, comunisti e indesiderati dal regime fascista,
dalla deportazione al ricordo commosso e commuovente
di Alberto Sordi, fino a togliersi qualche sassolino
dalle scarpe riguardo i cinepanettoni e l'accusa di
volgarità che si è sentito rinfacciare
da sempre.
Le canzoni, eseguite
dal vivo grazie all'orchestra diretta dal Maestro
Marco Tiso, creano stacchi tra le diverse sequenze
che compongono lo spettacolo, che trova i momenti
di maggior debolezza in alcune gag reiterate troppo
a lungo (i provini, ad esempio) assieme ai compagni
di viaggio Daniela Terrieri, Daniele Antonini e Alessio
Schiavo.
“Cinecittà”
racconta con leggerezza lo scintillante mondo dello
spettacolo, dalla parte delle luci del proscenio,
ma anche delle ombre delle quinte in cui si muovono
artigiani e professionisti la cui arte è troppo
spesso poco considerata. Uno spettacolo che rende
omaggio alla grandezza del cinema italiano che fu
e che omaggia un attore, crooner, entertainer che
dimostra sul palco di essere migliore di molti dei
film realizzati in carriera.
[fabio melandri]