Contaminazione.
È questa la chiave di volta per presentare
e raccontare l'omaggio che Enzo Iacchetti rende a
Giorgio Gaber in “Chiedo
scusa al Sig. Gaber”, a Roma
dopo il debutto milanese e prima di un lungo tour
in tutta Italia.
Contaminazione tra parole
e musica, umorismo e denuncia; questa era ed è
l'arte di Gaber, a cui Iacchetti si avvicina in maniera
intelligente, distaccandosene piuttosto che tentando
di imitarla. Il distacco è segnato da una serie
di contaminazioni tra il repertorio del Sig. G e citazioni
di autori contemporanei come Jovanotti e Zucchero.
Così canzoni come “Shampoo”, “Porta
Romana”, “Barbera e Champagne” e
“Torpedo Blu”, sono ri-arrangiate dal
Maestro Marcello Franzoso al pianoforte e dalla triestina
Witz Orchestra, con un cambio d’abito che non
scalfisce la carica trascinante e surreale delle canzoni
e delle performance tipiche di Gaber. E tra tanti
pezzi noti anche qualche chicca come la misconosciuta
“Benzina e cerini”, scritta da Enzo Jannacci
in occasione del Festival di Sanremo del 1961, a cui
Gaber partecipò arrivando incredibilmente (ma
non troppo) ultimo.
Su un palco disseminato
di sculture luminose che segnano le diverse tappe
dello spettacolo, dopo i successi televisivi Iacchetti
riesuma il suo passato di cantastorie grottesco e
surreale: una dimensione che ben si sposa con il repertorio
rievocato, sebbene alcuni monologhi che legano i segmenti
dello spettacolo risultino a volte reiterati, sovraccarichi
e con inutili accenti di populismo spicciolo applicato
all’attualità politica e sociale.
Fatta
eccezione per queste ombre lo spettacolo è
godibile, divertente e scorre leggero tra la memoria
di un passato luminoso ed un presente a volte sin
troppo volgare; una dicotomia che Iacchetti sottolinea
e ricorda più volte dialogando con il pubblico,
in un continuo gioco di rimando tra carote e bastoni,
nel segno dell'indimenticabile Signor G.
[fabio melandri]