Una
delle caratteristiche principali dei testi di Agota
Kristof è la lucidità. E lo spettacolo
“La chiave dell'ascensore”
lo conferma. Una favola nera, nella quale una castellana
è imprigionata nel castello, agognante il principe
azzurro e l'ampiezza della pianura. Questa favola
viene narrata dalla protagonista (una Francesca Palmas
ben immedesimata, ma troppo spesso invischiata in
una recitazione scolastica): una donna moderna, contemporanea
che per amore del marito si ritrova lentamente ma
inesorabilmente imprigionata nella casa, troppo lontana
dalla città.
Immersa
nel bosco, per amore dello sposo, un architetto, si
isola dalla vita, dalla civiltà e alla fine
persino da se stessa. Tutto nasce dal tentativo impacciato
e innocente di un boscaiolo di regalarle dei fiori:
la donna si vede togliere la chiave dell'ascensore,
unico mezzo meccanico utilizzabile per uscire dalla
casa/castello. Dalla natura al silenzio di una stanza:
il passaggio stravolge la moglie che perde prima l'uso
delle gambe, poi della vista e infine dell'udito.
Ma non in modo naturale: l'intervento di un medico
“consenziente” farà azione sui
nervi, ma con un'operazione “indolore”...
Il grido di dolore che il monologo della Kristof ci
descrive e al quale la Palmas dà corpo è
quello di una donna obbligata all'attesa, remissiva,
forse sconfitta, ma fermamente convinta di una cosa:
non perderà LA VOCE. Ultimo mezzo, e forse
il più importante, per far conoscere la sua
storia, per tramandarla e magari impedire che accada
di nuovo. Perché per amore si rischia di perdersi
nell'altro, sottomettendo i propri desideri a quelli
dell'amato.
Massimo
Palazzini propone una scena essenziale, pochi oggetti,
tutti funzionali. Una poltrona; un girello attraverso
il quale la bella protagonista “vive”;
un casotto di legno, scena fissa per la castellana
e il principe; quattro burattini con cui la moglie
si intrattiene monologando. Il finale trasforma la
scena: il bianco dei teli finge da contraltare alla
pesante coltre creata dalla violenza psicologica che
troppo spesso le donne subiscono. Un testo da apprezzare.
[valentina
venturi]