La chiave dell'ascensore
Autore: Agota Kristof
Traduzione:
Regia: Massimo Palazzini
Scene: Pier Luigi Manetti Costumi: Salvatore Aresu
Luci: Flavio Mainella Musica: a cura di Stefano Pedone
Produzione: ----------------------
Interpreti: Francesca Palmas
Anno di produzione: 2010 Genere: monologo

In scena: fino al 2 maggio 2010 al Teatro Trastevere di Roma, Via Jacopa dé Settesoli, 3

Una delle caratteristiche principali dei testi di Agota Kristof è la lucidità. E lo spettacolo “La chiave dell'ascensore” lo conferma. Una favola nera, nella quale una castellana è imprigionata nel castello, agognante il principe azzurro e l'ampiezza della pianura. Questa favola viene narrata dalla protagonista (una Francesca Palmas ben immedesimata, ma troppo spesso invischiata in una recitazione scolastica): una donna moderna, contemporanea che per amore del marito si ritrova lentamente ma inesorabilmente imprigionata nella casa, troppo lontana dalla città.

Immersa nel bosco, per amore dello sposo, un architetto, si isola dalla vita, dalla civiltà e alla fine persino da se stessa. Tutto nasce dal tentativo impacciato e innocente di un boscaiolo di regalarle dei fiori: la donna si vede togliere la chiave dell'ascensore, unico mezzo meccanico utilizzabile per uscire dalla casa/castello. Dalla natura al silenzio di una stanza: il passaggio stravolge la moglie che perde prima l'uso delle gambe, poi della vista e infine dell'udito. Ma non in modo naturale: l'intervento di un medico “consenziente” farà azione sui nervi, ma con un'operazione “indolore”... Il grido di dolore che il monologo della Kristof ci descrive e al quale la Palmas dà corpo è quello di una donna obbligata all'attesa, remissiva, forse sconfitta, ma fermamente convinta di una cosa: non perderà LA VOCE. Ultimo mezzo, e forse il più importante, per far conoscere la sua storia, per tramandarla e magari impedire che accada di nuovo. Perché per amore si rischia di perdersi nell'altro, sottomettendo i propri desideri a quelli dell'amato.

Massimo Palazzini propone una scena essenziale, pochi oggetti, tutti funzionali. Una poltrona; un girello attraverso il quale la bella protagonista “vive”; un casotto di legno, scena fissa per la castellana e il principe; quattro burattini con cui la moglie si intrattiene monologando. Il finale trasforma la scena: il bianco dei teli finge da contraltare alla pesante coltre creata dalla violenza psicologica che troppo spesso le donne subiscono. Un testo da apprezzare. [valentina venturi]