Vincenzo
(Gigi Savoia) ripete sempre a tutti "Chi
è cchiù felice 'e me": vive
un'esistenza tranquilla in una casa semplice, con
una moglie bella e devota (Giovanna Rei) che tutti
gli invidiano, amici simpatici che vengono sempre
a trovarlo e per i quali ha sempre una parola saggia.
Don Vincenzo chiude le porte alla vita, vive nel suo
piccolo mondo, ma la vita rientra dalla finestra,
sconvolgendo la sua tranquillità e le certezze.
L'ambientazione
dello spettacolo è di una semplice casa di
Napoli, con luci calde e personaggi che recitano facili
battute che strappano risate al pubblico. Nell'insieme
gli attori sono credibili e a loro agio in quel mondo,
la città e i suoi rumori sono echi lontani.
Un teatro fatto di parole, con dialoghi che rimbalzano
tra gli attori. De Filippo in questo testo, con la
leggerezza e l'ironia partenopee, sembra dire allo
spettatore che l'ingenuità è peggiore
della stupidità e che la virtù è
attraente e facile da assediare.
Il
mondo di questa commedia, però, è un
mondo che non c'è più. Pane fatto in
casa, ceste che odorano di bucato fresco, mogli "angelo
del focolare": sono immagini così lontane.
E in questo risiede il limite dello spettacolo. Il
messaggio dell'autore andrebbe declinato con un altro
linguaggio, più attuale, più vicino
al mondo di oggi per catturare l'attenzione. Così
invece rischia di essere una fotografia ingiallita
a carattere locale. Datato. [deborah
ferrucci]