Quando
si sceglie per protagonista di un musical un personaggio
che non sa recitare, non sa cantare e tanto meno mettere
due passi di danza in fila uno dopo l'altro, c'è
qualcosa che non funziona. Lo ammettiamo subito a
scanso di equivoci. Questa è una recensione
dettata dalla frustrazione, dopo aver assistito alla
prima romana del nuovo musical della Compagnia della
Rancia: Cercasi Cenerentola.
Il
personaggio in questione è Paolo Ruffini, protagonista
di dimenticabilissimi cinepanettoni (Natale
a Miami, New York, Rio...), presentatore
di Colorado Caffè su Italia Uno, e deludente
protagonista del musical Full
Monty, in scena nella scorsa stagione.
Ruffini è il protagonista nei panni di un Principe
di Azzurro vestito dell'immaginario Regno di Mitrovia.
Ora per motivi a noi sconosciuti e che tali rimarranno,
è chiamato dal Re Sovrano a prendere moglie.
Ovviamente lui ama troppo la propria libertà
per seguire “immantinente” il volere del
Re, ma messo alle strette si affida al fedele consigliere
Rodrigo (Manuel Frattini) per indire un bando dal
quale scegliere la futura Principessa; bando a cui
potranno accedere tutte le ragazze nubili del reame.
E sarà proprio il popolo di Mitrovia (ovvero
il pubblico in sala) a scegliere come nel peggiore
dei Reality Show, la sposa del Principe.
A
questa esilissima trama, aggiungete una giovane sguattera,
due sorellastre dispettose dai nomi di Gertrude e
Genoveffa, una matrigna in continua lotta con la sintassi
linguistica, una fata turchina, un cagnolino trasformato
in autista, ed una zucchina in... Vi ricorda forse
qualcosa?
Cercasi
Cenerentola scritto da Saverio Marconi
e Stefano D'Orazio, è una rielaborazione moderna
della favola di Cenerentola (ovvio). Una rielaborazione
che fa acqua da più parti a partire dall'ambientazione
temporale che si vorrebbe rivisitata negli Anni Cinquanta,
ma di cui manca completamente il 'mood', a meno che
non lo si sia voluto dare con la breve apparizione
di un Juke Box d'epoca ed il profilo di un maggiolone.
Un po' poco direi...
Stefano
D'Orazio, da quando ha lasciato il gruppo storico
dei Pooh, si è dedicato anima e core' alla
scrittura di musical teatrali. Il successo del musical
Pinocchio,
curato insieme al resto della ex-band, aveva un po'
illuso. Il viaggio in Estremo Oriente con l'impalpabile
Aladin
e nel caliente Mexico con l'opaco W
Zorro, sono risultati di molto
al di sotto delle attese; cosa che non gli hanno impedito
di calarsi in questa nuova dis-avventura. Le musiche
di Stefano Cenci scivolano via senza soluzione di
continuità, come fastidiosi stacchetti musicali
di un qualsiasi varietà televisivo. Non possiedono
forza, non trascinano, non suscitano alcuna emozione.
Sono puramente funzionali; un fastidioso intermezzo
al fiume di parole che le avvolge.
Lo
spettacolo ha una durata “monstre” (quasi
tre ore) per la pochezza che riesce invece a mettere
in scena; l'esilissima trama data dalla favola che
tutti conosciamo è riempita di sketch, improvvisazioni
e gag ripetute all'infinito che rallentano un ritmo
già di suo "lento", strappando poche
e forzate risate. Le stesse scenografie mostrano una
povertà di idee e realizzazione che spiazza
e stordisce; la sensazione è quella di uno
spettacolo realizzato con la mano sinistra, ad occhi
chiusi e pensando ad altro.
In
tale pochezza, unico raggio di sole dello spettacolo
è la presenza di Manuel Frattini, che all'interno
di un panorama non eccelso, conferma ancora una volta
il proprio talento nel ballo, canto e recitazione.
Un talento al servizio di uno spettacolo francamente
incomprensibile come pochi con cui la storica Compagnia
della Rancia festeggia i suoi primi 30 anni di attività.
Uno
spettacolo che si voleva pieno di magia, colori, sentimento
ed allegria; tutte buone intenzioni che sono rimaste
inesorabilmente sulla carta dei desiderata. Come diceva
il grande Gino Bartali: Gl'è tutto sbagliato,
gl'è tutto da rifare”.
[mario blanfide]