Ivan Franek è l'agrimensore, straniero
per davvero (il suo è un italiano ruvido, frammentato
e poco musicale) in una terra sconosciuta, dominata da un
castello. Da subito si percepisce la complicata matassa di
personaggi (funzionari autorevoli e non) che ruota attorno
al castello. Un labirinto di cariche e sotto-cariche, contro
le quali il povero signor K deve scontrarsi per far valere
il proprio diritto di agrimensore. Si dovrà accontentare
di un posto da bidello e andrà incontro a una fine
drammatica. In scena l'alienazione, la frustrazione dell'uomo
che cerca di ribellarsi al sistema, la lotta contro la burocrazia
avvilente: e poi l'attesa, l'eterno rincorrere qualcosa che
più ti avvicini più si allontana. Da un luogo
al successivo, passando attraverso ogni centimetro del bello
spazio scenico offerto "naturalmente" dal Teatro
India.
Le scene sono fatte di cartone, scatole da
imballaggio rovinate, bagnate, sporche, accartocciate: un
materiale povero ma duttile che segue il lungo viaggio del
signor K accompagnato dagli inseparabili aiutanti (un duo
comico ben riuscito quando non straripa).
Il trittico - Frieda, Il segreto di Amalia
e Progetti di Olga - lascia però qualche perplessità
e soprattutto delude quanti speravano di godere tre ore e
15 minuti ritrovando il genio di Barberio Corsetti. Un genio
che è sembrato un po' esaurirsi negli ultimi spettacoli
e che in questo in particolare sembra perdersi nella faticosa
traversata del signor K. C'è poco pathos, poco collante,
poca tensione e poca emozione. Gli attori che gravitano attorno
all'agrimensore, compresa la sua Frieda (Mary Di Tommaso,
spesso fuori tempo) aggiungono poca vita allo spettacolo che
è un susseguirsi di scenette da rincorrere nonostante
il buon aiuto della musica dal vivo del trio rock (basso,
chitarra e batteria) Statale 66.
Uno spettacolo itinerante che nonostante questa
caratteristica annoia un po', togliendo, scena dopo scena,
un po' di quell'attesa, di quell'ansia, di quell'angoscia
di arrivare al castello che attraversa ogni pagina del capolavoro
di Kafka. [patrizia vitrugno]