“La
casa di Ninetta” è un palco vuoto.
In fondo, sulla sinistra, sette sedie rosse che Lina
Sastri apre via via durante l’intenso monologo
dedicato alla madre, disponendole a semicerchio. Luci
basse a segnare solo i dettagli, puntate sulla protagonista
a evidenziarne il viso e le diverse espressioni. Nell’accorata
e dolce preghiera che la Sastri rivolge alla madre
c’è l’intensità della figlia
prima che dell’attrice. Il ricordo che prende
forma, è velato dal dolore per la perdita della
mamma. La signora Ninetta è bella, col suo
ampio cappello di paglia; è fortissima nonostante
la vita non le abbia risparmiato sofferenze; è
luminosa e allegra anche nella malattia. Il quadro
dipinto dalla Sastri è popolato di donne: sono
queste a condurre il gioco, gli uomini sono l’ombra
scura della vita, sempre altrove, distanti col corpo
e con lo spirito.
Nel
fluire dei ricordi, si svela la vita dell’attrice-autrice,
le storie più intime: il rapporto col padre
assente, la consapevolezza di essere venuta al mondo
per sbaglio e la certezza di avere per sempre con
sé l’amore vero e immortale di una madre.
A Ninetta piaceva cantare e la Sastri condisce il
racconto dei ricordi con dolci fuori campo registrati
dall’attrice negli ultimi anni di vita della
donna. Sullo sfondo la città di Napoli coi
suoi vicoletti e le mille voci di donne, perlopiù.
Ogni sedia aperta ospita, infatti, sul finire dello
spettacolo sei spettatrici che simboleggiano le donne
che hanno abitato e riempito la casa e il cuore di
Ninetta.
Un
testo semplice ma diretto, interpretato con grazia
e sincerità, senza sbavature o eccessi.
[patrizia vitrugno]