Carpe
Diem,
in scena al Teatro Trastevere di Roma fino al 23 dicembre,
è la libera riduzione teatrale della pellicola L'attimo
Fuggente, il film di Peter Weir con un immenso
Robin Williams nei panni dell'anticonformista Professor John
Keating, che in un'America fortemente WASP insegnava agli
studenti di un prestigioso college maschile del Vermont, a
riscoprire la vera essenza della vita, la gioia di un pensiero
libero, la coscienza dell'autodeterminazione del proprio futuro.
Carpe Diem, cogli l'attimo, vivi la vita perchè questa
è una sola. Wier costruì una pellicola di grandissimo
impatto emotivo, capace di far riscoprire a generazioni di
spettatori ignari, un poeta americano come Walt Whitman (Capitano,
o mio Capitano) ed un grande pensatore della wilderness americana
come Henry David Thoreau, assai prima del romanzo di Jon Krakauer
Into te Wild portato anch'esso sullo schermo
da Sean Penn.
Coraggio va quindi riconosciuto al regista Tommaso Marrone,
nel tentare di far rivivere questi grandi ideali su un palcoscenico
teatrale e confrontarsi con un ricordo fortemente radicato
nel pubblico come quello del film.
Il risultato, ovviamente,
non poteva essere che in perdita; nonostante alcune buone
idee, il testo teatrale non riesce a trasmettere quello stesso
entusiasmo per la vita, gioia per la scoperta, poesia nella
parola che ci si sarebbe aspettati.
Così il cuore dello
spettacolo, riassumibile nel noto passaggio di Walden
- Vita nei boschi di Thoreau - “Andai
nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per
affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere
se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi,
e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto.
Non volevo vivere quella che non era una vita, a meno che
non fosse assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente,
e succhiare tutto il midollo di essa, vivere da gagliardo
spartano, tanto da distruggere tutto ciò che non fosse
vita, falciare ampio e raso terra e mettere poi la vita in
un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici...”
- rimane semplicemente sulla carta, nelle parole vuote di
attori giovani ed ancora troppo acerbi.
Nonostante limiti scenici
brillantemente risolti, lo spettacolo avanza inesorabilmente
incapace di cambiare ritmo e creare un climax emotivo e narrativo
che accompagni lo spettatore al noto e patetico (da intendersi
nel suo senso etimologico e non dispregiativo come comunemente
interpretato) finale. Cambi di scena lenti ed impacciati,
recitazioni in alcuni elementi dilettantesche, definiscono
lo spettacolo coraggioso, ma imperfetto e non riuscito.
[fabio melandri]