La
vita di Angela, protagonista di “Buchi
nel cuore”, “è una voragine
con i cocci dentro”, frammenti di una vita spezzata
dalla violenza domestica, dal sogno di un matrimonio,
una famiglia, dei figli. Il sogno si realizza, ma
il prezzo è alto: paura, insicurezza, senso
di colpa, inadeguatezza. Lo sguardo dei suoi figli,
il loro pianto di fronte a quelle scene moleste, è
l’ultima violenza di una lunga serie. Occhi
tumefatti, domande indifferenti di medici che continuano
a prescrivere tranquillanti e si rifiutano di vedere
l'evidenza, il crimine subito da questa donna. La
stessa madre di Angela fa finta di non vedere. La
violenza domestica e l’indifferenza sociale
sembrano due facce della stessa medaglia, espressione
di un mal di vivere che deve avere un capro espiatorio,
presumibilmente una creatura fragile nel desiderio
di amare e di essere amata. Angela preferisce pensare
di aver fatto o detto qualcosa di sbagliato, piuttosto
che ammettere che l’uomo che ha di fronte non
l’ama affatto, che è solo un essere debole.
Un
testo ben scritto, intenso, che scava nell'argomento
tabù con la precisione di un chirurgo, senza
sentimentalismi. Tuttavia, il monologo fotografa solo
il dramma: manca la speranza, il riscatto del coraggio
di una donna che cambia vita e riconquista il rispetto
per se stessa. La protagonista Angelica Zanardi trova
una chiave interpretativa autentica, senza perdere
la tensione della professionista. Le scene di Nicola
Bruschi sono essenziali ma molto curate, giocano sull’ambiguità
del tema della visibilità e dell’invisibilità
attraverso specchi, una porta e delle immagini proiettate.
La regia di Pietro Floridia è tesa, non ci
sono “buchi”, si arriva alla fine dello
spettacolo in un soffio, senza accorgersene.
È
un atto di coraggio: in tempi di finzioni portate
all’eccesso, di esibizione di benessere, successo
e allegria a tutti i costi, si affronta un tema scottante.
Il teatro è vivo, è fatto di emozioni
in diretta, mostra con la forza della rappresentazione
la crudezza della realtà. Un pugno allo stomaco,
talvolta un fastidio per scene che il pubblico non
vorrebbe vedere, per suoni che non vorrebbe ascoltare.
Invece alla fine resta un senso di sollievo e di condivisione.
Si torna a casa con degli spunti di riflessione, con
la sensazione di aver compreso qualcosa di più
sul mondo e sulla vita. Questo dovrebbe essere il
teatro.
[deborah
ferrucci]