Il
male e la sua rappresentazione. A teatro. Con queste
premesse lo spettatore si accomoda per gustare lo
spettacolo in scena al teatro Ambra Garbatella “Blu”,
diretto da Valentino Villa e presentato in Prima Nazionale
al Festival Benevento Città Spettacolo nel
settembre 2010. Nella cartella stampa si scopre che
“Blu” «è una riflessione
amorale sulla violenza e sul male senza soluzioni
consolatorie. Barbablù è Gilles de Rais
‘il più grande criminale della storia
dell’uomo’, secondo la definizione di
Georges Bataille. Portando in teatro una delle più
terribili storie dell’umanità, Valentino
Villa sceglie di non mostrare né sangue, né
corpi nudi. L’osceno rimane, deve rimanere,
fuori dalla scena».
Il
testo, nella sua interezza, è quindi ispirato
alla vita di Gilles de Montmorency-Laval barone di
Rais, uno degli uomini più ricchi della Francia
medioevale e riferimento storico per la figura di
Barbablù. Durante la sua vita a dir poco dissoluta,
ha torturato, stuprato e ucciso più di duecento
bambini ed adolescenti maschi. L'impianto narrativo
si regge sul processo contro Gilles: la confessione
è ciò che tiene in piedi “Blu”.
Per evitare corpi mutilati in scena, tutto viene raccontato,
descritto e mai mostrato.
Per
creare il fastidio emotivo si usano artifici registici:
gli attori parlano usando microfoni e distorcono le
voci; la musica crea straniamento e distacco dalla
storia; i video proiettati sulle veneziane allontanano
lo spettatore dalla vicenda descritta; le danze scoordinate
spiazzano. Eppure tutto (e insieme niente) permette
di raggiungere l'identificazione con il male, l'osceno
e il dolore. Si rimane spaesati e a volte interdetti:
le interruzioni più che distacco e sofferenza,
provocano disorientamento e perdita del filo conduttore.
Molta buona volontà, per un risultato non completamente
riuscito. [valentina
venturi]