Un
tipico nasone da cui sgorga ininterrottamente l'acqua di Roma;
una panchina ricoperta di giornali; un chiostro che sembra un
paradiso per i neo-barboni, sventurati protagonisti di una favola
metropolitana. Accomunati dalla condanna alla miseria, ognuno
di loro vive l'emarginazione in maniera diversa: chi ne apprezza
l'assoluto senso di libertà e indipendenza dagli altri,
chi continua una tradizione di famiglia, chi si è ridotto
al lastrico per azzardi finanziari...
La loro vita viene sconvolta
quando Gloria, clochard in visita dal Regno Unito, entra a
far parte di questa ristretta comunità: vuole conoscere
le loro storie, aiutarli, raccontarli. In verità Gloria
è una sceneggiatrice alle prese con un progetto artistico
in cui si cerca di raccontare la vita di strada da una prospettiva
insolita, apparentemente più fedele alla realtà
in quanto interna al contesto stesso.
“Barboni:
favola metropolitana” è un amaro
spaccato delle ipocrisie del terzo millennio, dove una società
frenetica si dimentica di chi rimane indietro, seppure gli
stessi siano molto avanti in termini di umanità. Rispettabile
il tentativo di rendere quotidiana una condizione sociale
estrema, conosciuta ai più solo per le insolenti richieste
di elemosina. Peccato che l'intento buonista (dare voce agli
invisibili), finisca per legittimare vecchi stereotipi in
cui umanità e disumanità si rincorrono in un
qui pro quo strutturale e dove ogni responsabilità
è riservata ad un mondo incapace di fermarsi ad ascoltare
(riabilitato solo dalla figura dello studente volontario).
Finale carico di aspettative,
ma inaspettatamente tronco; significativo aggravante che preclude
ogni merito di sufficienza: “Barboni”,
quarto testo di Maricla Boggio messo in scena da Mario Prosperi
dopo “Doppiaggio”
(2003), “Sibilla”
(2007) e “Scena prima”
(2011), ha ricevuto anche finanziamenti dalla Regione Lazio.
Un buon motivo per differenziare lo sdegno, oltre che i rifiuti.
[gianluigi cacciotti]