La
compagnia capeggiata dalla regista Erika Manni ha
portato in scena al Teatro dell'Orologio di Roma,
uno spettacolo impegnativo: "Le
Baccanti" di Euripide. Presentare oggi,
in un teatro non istituzionale, una tragedia greca
è sicuramente un'impresa degna di nota che
merita l'attenzione della critica. Per fortuna quella
del pubblico c'è stata e il merito va sicuramente
al lavoro sinergico compiuto dagli attori e dalla
regista. Per comprendere meglio la nascita di questo
progetto, Erika Manni ha risposto ad alcune domande.
Erika,
guardando le "sue" Baccanti si apprezza
lo studio accurato che ha condotto. A partire dal
testo.
Tutto ruota sulla perdita della consapevolezza, sulla
disintegrazione e sulla dispersione. Anche il testo
non poteva non rispettare questo scopo. Così
si parte in modo classico, per arrivare all'epilogo
in cui tutto è cambiato, perché ogni
personaggio si è trasformato. Ecco perché
all'inizio, per esempio, il coro declama versi greci
e rispetta la metrica per poi, in chiusura, perdere
il ritmo e scardinare la parola.
Una trasformazione che riguarda anche gli oggetti:
il rossetto delle Baccanti prima è un'arma
di seduzione, poi si trasforma in sangue.
Sì. Lo stesso succede con le calze: prima le
usano come una sorta di collana e poi come collant.
Sono intuizioni nate durante un lavoro di improvvisazione?
No, queste sono state decisioni ragionate. L'improvvisazione
l'ho usata soprattutto nel lavoro del corpo per le
Baccanti. Una bella esperienza che mi ha portato,
per esempio, a scegliere il flamenco come ballo.
Come unire il flamenco con la tragedia greca?
Ho scoperto che è coerente: è un ballo
che ha origini arabe. E poi Beatrice Loreti, una delle
attrici, è una ballerina di flamenco. Mi piace
usare le competenze specifiche degli attori con cui
lavoro.
In quest'ottica rientra anche la scelta del dialetto
pugliese per Dioniso?
Sì, ma non solo. Euripide più volte
ripete che Dioniso è uno straniero. "Vengo
dalla Lidia", dice. Sicuramente avrà parlato
un greco diverso. Per dare la stessa sensazione di
differenza, anche qui, ho sfruttato le competenze
di Alessandro.
Perché ha scelto di affrontare una tragedia
greca?
In realtà non ho deciso io (scoppia a ridere,
ndr). E' stata Vania Lai, una delle attrici della
compagnia, ad iscrivermi un anno fa a un concorso
di regia internazionale. Tutte le compagnie dovevano
portare il proprio progetto su uno stesso brano, scelto
dalla commissione: si trattava del quinto stasimo
delle Baccanti, appunto. Non arrivammo in finale,
ma il pubblico apprezzò molto il lavoro. Buttare
all'aria tutto quello che avevamo fatto mi sembrava
stupido. Così siamo andati avanti, fino al
Teatro dell'Orologio..
Nel prossimo futuro cosa vi aspetta?
Per il momento le matinée nelle scuole. Sono
tanti i ragazzi che sono già venuti a vederci
e che sono rimasti molto colpiti. Alcuni di loro leggeranno
la tragedia: è un grande risultato. Anche perché
molti di loro mi hanno confessato di non essere più
spaventati dal teatro.
In che senso?
In genere il binomio "tragedia più teatro"
equivale a dire "grande noia". Invece in
molti non solo hanno capito il dramma che si racconta
ma si sono anche divertiti.
Questo grazie ad alcuni elementi di rottura che
ha inserito. Mi riferisco ai riferimenti a Cappuccetto
Rosso o alla musica da discoteca.
Sì. Ma non li ho inseriti tanto per farlo.
Euripide stesso era un autore di rottura. Dopo di
lui, nessuno più in Grecia scrisse tragedie.
Ha reso protagonista un antieroe. Purtroppo non esistono
note di regia del tempo, ma sono sicura che anche
lui avrebbe inserito qualcosa del genere. Era un progressista.
Un rivoluzionario.
E' soddisfatta della scena madre, quando Agave
realizza di aver mangiato il proprio figlio?
Sì, molto. In quella scena c'è la catarsi
totale. Per riconoscere quello che ha attorno, Agave
deve passare attraverso un dolore immenso. Sono molto
contenta del risultato ottenuto, perché gli
attori recitano "di pancia". Non ci sono
intellettualismi o virtuosismi registici, solo emozioni.
Ha mai avuto paura, nel misurarti con un testo
così impegnativo?
Certo. Bisogna avere un'esperienza notevole, sia a
livello di regia che di recitazione, per approfondire
tutti i livelli di lettura che offre un testo così
importante. Il mio, infatti, non è un lavoro
finito. E' più un work in progress. Ciò
non toglie che ho imparato tanto e che lo rifarei.
Con un cast diverso?
Scherzi! Squadra che funziona non si cambia.
Una
squadra composta da bravi attori e ottimi professionisti.
In particolar modo si apprezza il lavoro svolto da
Giancarlo Porcari nei panni del vecchio Cadmo: misurato,
preciso e commovente; di Valentina Baragli nei panni
di Agave: credibile e profonda. Ma anche e soprattutto
delle tre Baccanti: Vania Lai, Beatrice Loreti e Francesca
Baragli che ha anche curato le coreografie. Il loro
è il tipico lavoro "sporco": sempre
presenti, coordinate, con movimenti ad orologeria
e legate da una sincronizzazione perfetta. Frutto
di un'ottima sinergia e di grande professionalità.
Si apprezza anche il lavoro di Alessandro Epifani
(Dioniso) e di Edoardo Ciufoletti (Penteo) soprattutto
in relazione all'enorme difficoltà dei ruoli
ricoperti.
[marzia turcato]