La
leggera curiosità di una bimba, le risposte
di un padre. Una filastrocca che apre la scena. “Avevo
un bel pallone rosso e blu, ch’era la gioia
e la delizia mia. S’è rotto il filo e
m’è scappato via, in alto, in alto, su
sempre più su. Son fortunati in cielo i bimbi
buoni, volan tutti lassù quei bei palloni”.
Margherita bambina l’ha scritta su un quaderno;
la stessa Margherita diventerà per tutti Mara
Cagol. Angela Demattè scrive un testo (vincitore
del Premio Riccione per il Teatro 2009) intenso, pervaso
da una sottile vena malinconica, emozionante nella
sua cruda realtà. Documenta il decennio che
va dal 1965 al 1975: da studentessa in Sociologia
a fondatrice delle Brigate Rosse assieme al marito
Renato Curcio, la sua vita descrive un’epoca
di rivoluzione. In dieci anni da figlia diventa estranea.
Nei dialoghi con il padre c’è tutta la
tragica dissoluzione della comunicazione, del rapporto
padre-figlia che diventa sempre più velocemente
un rapporto tra sconosciuti. Angela Demattè
interpreta Margherita/Mara, più convincente
nel ruolo di figlia che in quello di brigatista: nel
suo recitare in trentino c’è l’entusiasmo
giovanile delle idee, l’ambizione di una figlia
che cresce davanti agli occhi preoccupati di un padre;
da donna la Demattè è troppo caricaturale,
scandisce con eccessiva forza il suo nuovo ruolo,
risulta “cattiva” come se “cattiveria”
fosse sinonimo di “terrorista”. Andrea
Castelli è il padre: affannato nel trovare
risposte, dedito al lavoro perché consacrato
alla famiglia, impotente di fronte a un pensiero irraggiungibile,
devastato da un amore genitoriale non compreso perché
non comunicato e svuotato nei silenzi sempre più
lunghi. Un’interpretazione che coinvolge, mai
stucchevole sempre generosa.
La
fine della Cagon arriva da un annuncio in televisione:
la storia di Mara si chiude, ma gli anni di piombo
nella storia del nostro paese sono una ferita ancora
aperta. Nella regia di Carmelo Rifici si legge una
voluta semplicità che si esprime nel tono sommesso
dei dialoghi. Due voci che parlano di un’umanità
straziante e straziata, di vite spezzate, di sogni,
di utopie. Di un bel pallone rosso.
[patrizia
vitrugno]