Uno
degli attori che devono eseguire la recita architettata da Amleto
per mettere in difficoltà lo zio Claudio, prima che incominci
la rappresentazione, scoreggia per un paio di minuti.
Gertrude (Lucia Mascino)
sospesa sul trono a gambe larghe rivolta a Amleto gli urla (letteralmente)
“Lo prendo nel culo da tuo zio, ma prima lo prendevo nel
culo da tuo padre. E per questo non mi posso sedere, mi devo
sfiammare”.
Alcuni brani sono
recitati imitando Bombolo o Lino Banfi.
Canzoni di Lucio Battisti.
Lo spettacolo si chiude
sulla difficoltà di trovare parcheggio a Roma.
La rivisitazione di “Amleto”
di William Shakespeare, scritta da Filippo Timi è un
curioso pastiche volutamente senza capo ne coda, volutamente
greve, volutamente insulso, volutamente volgare, involontariamente
grottesco.
Un pastiche dove si trova
di tutto: la psicanalisi (Amleto non è nient’altro
che un coglione afflitto da complesso di Edipo), la maieutica
(Ofelia suicidandosi tira fuori il meglio di sé), il
meta teatro (attori che recitano attori, che vorrebbero far
gli attori), la critica di costume (da Amleto a Claudio, da
Laerte a Polonio, è tutto un magna magna), la metafora
(conquistare il culo di Gertrude vuol dire conquistare il
potere), la metastasi (la lenta dissoluzione del teatro, se
si continuano a mettere in scena spettacoli del genere).
Dal punto di vista della
confezione e dei mezzi, non manca niente. Una scenografia
che ricorda le piste del circo interamente racchiusa in una
sorta di enorme gabbia, è funzionale allo spettacolo.
Si entra e si esce o si scalano le inferriate del recinto,
come si entra e si esce e si cerca di scalare l‘involucro
del testo shakespeariano.
Gli attori sono efficaci
e non solo Filippo Timi, che gioca senza forzare la parte
istrionica, ma anche gli altri (Mascino, Marina Rocco, Luca
Pignagnoli, Elena Lietti) e in particolar modo la ragazza
bionda (LA Rocco), credibile e mai esteriore nei monologhi
che aprono e chiudono la piéce.
La regia asseconda
gli sbalzi di ritmo, i passaggi dalla comicità alla
lirica, dal sarcasmo alla riflessione, dall’ironia alla
provocazione rendendo lo spettacolo giustamente fluido.
Tutto funziona insomma.
Tranne il testo.
[paolo zagari]