La
trasposizione dell’ “Amleto” di Shakespeare
nell’atmosfera surreale della Francia della fine
degli anni ’30 è l’idea originale
e divertente che Giancarlo Sepe propone nel contesto
ovattato del suo Teatro La Comunità con “Amletò,
Ovvero Gravi incomprensioni all’Hotel du Nord”.
Lo spettacolo trae ispirazione dal film di Marcel Carnè
del 1938 e ambientato appunto all’Hotel du Nord:
una pensione della sciagurata periferia parigina dove
due fidanzatini, stanchi del mondo ipocrita che li circonda,
decidono di suicidarsi.
Tutto
ruota intorno alle vicende della famiglia di Amletò
e, in linea con la versione originale, Claudio fa
da perno alla vicenda. Fratello geloso e umiliato
del re di Danimarca, Claudio fugge a Parigi, trovando
accoglienza nel misero albergo. In seguito all’occupazione
nazista lo raggiunge la famiglia, ma la convivenza
con il fratello è talmente insopportabile da
indurlo a commetterne l’omicidio. Da qui ha
origine la tormentata vicenda di Amleto, alla ricerca
di una strada da intraprendere per vendicare il padre:
il tormento e l’incapacità di districarsi
tra i sentimenti contrastanti del suo animo, lo conducono
a coinvolgere Ofelia nel tragico finale. Le responsabilità
e le scelte pesano sempre alla stessa maniera, a prescindere
dal contesto storico: questo sembra dirci Amletò
piagnucolante. Bravissimo il protagonista, accattivante
e naif nell’interpretazione. Il testo è
recitato in un grammelot alla Dario Fo: un divertente
francese maccheronico. Bravi tutti gli attori.
Le
due ore scivolano via anche grazie alle sorprese rappresentative.
Sul palcoscenico accade di tutto: si materializzano
oggetti e forme incredibili in un’atmosfera
rarefatta della periferia parigina; il movimento è
l’elemento dominante; i personaggi agiscono
in uno spazio scenico che oltrepassa il palco. Il
passaggio dalla Danimarca a Parigi, per esempio, avviene
lungo una pedana che sovrasta il palcoscenico. Indimenticabile
la corsa in macchina, degna del miglior Blake Edwards
o di Arsenio Lupin.
Dell’Amleto
e del tormento dell’animo sono state proposte
svariate versioni nel corso del tempo, eppure Sepe
riesce a darne una interessante, che rende giustizia
all’idea poetica di teatro che lo caratterizza.
Il regista e autore sforna un piccolo capolavoro,
con uno stile così definito che pochi in Italia
possiedono.
Da
non perdere dopo aver letto però almeno una
volta l’Amleto originale.
[giovanna
gentile]