Nel
buio risuonano le note inconfondibili di Nino Rota
per Il padrino di Francis
Ford Coppola. 1991, Roma, Studi di Cinecittà.
Clara del Quadraro è una delle tante in fila
per fare la comparsa ne Il Padrino
Parte III. Tra chi ripassa il proprio inglese,
chi si liscia i capelli, chi sfodera il suo miglior
sorriso “maggico”, Clara è sul
punto di abbandonare per fare ritorno a casa, da sola
in metropolitana quando fa colpo su Lucky Boy.
Questo è un dispettoso cagnolino in cui la
giovane inciampa involontariamente. L’incontro
segna l’inizio di una favola. Lucky Boy è
infatti il cagnolino di Al Pacino: “Piàcire,
I am Al Pacino. Così me lo disse – ricorda
lei –. Così: dicendo nome e cognome.
Non ricordo nulla di me in quel momento, non so cosa
risposi: cercava una segretaria per sé e che
fosse precisa e puntuale. A conti fatti non ci siamo
detti granché, io guardavo lui, che guardava
il cane, che annusava me”.
Così Pierpaolo Palladino, autore e regista
del testo, ricostruisce il primo incontro tra il grande
attore americano e la giovane ragazza italiana di
borgata. Il primo di una serie d’incontri svoltisi
nel camerino dell’attore a Cinecittà
tra tazzine di caffé, partite a poker con Andy
Garcia e John Savage, isterismi, paure e ossessioni
che trasformano l’attore sicuro di sé
e padrone della situazione nei panni di Michael Corleone,
in uomo fragile ed insicuro una volta tornato Al Pacino.
Il mito è tale se contemplato a distanza, ma
una volta spogliatosi delle luci della ribalta, resta
solo un uomo.
Il testo alterna momenti giocosi ad altri più
intimi e commuoventi, puntando sulla potenza descrittiva
della parola scritta, affidata alle capacità
recitative ed evocative di una convinta e convincente
Cristina Aubry, nei duplici panni di Clara e di Pacino.
Il monologo si sviluppa veloce attraverso frammenti
di racconto, intervallati dalle note di Rota che riecheggiano
insieme a brani ‘evergreen’ affidati alla
calda vocalità di Dean Martin, coinvolgendo
emotivamente il pubblico trasformato in un invisibile
voyer che, come dietro uno specchio segreto, entra
in punta di piedi nell’intimità di un
rapporto non più tra attore e fan, ma più
semplicemente tra un uomo ed una donna. La regia lineare,
il palcoscenico spoglio, le luci essenziali concorrono
a porre l’attenzione sull’attrice, che
tiene in mano lo spettacolo guidando lo spettatore
in un tunnel fatto di risate, riflessioni, piccole
e grandi malinconie. L’unico difetto, se vogliamo,
è che dura troppo poco.
[fabio melandri]