Dopo
"Sex & the city" le déluge (il
diluvio). Il celebre serial americano ha fatto scuola.
Ovunque nel mondo si è tentato di riprodurre
quel modello che ha rappresentato il rovesciamento
di tabù: "le donne e l'amicizia",
"le donne e il sesso".
In "Addio al nubilato"
ci sono quattro donne, alla vigilia dell'addio al
nubilato di Chiara. Si ritrovano in un albergo ad
interrogarsi sulle vite presenti e passate. Sullo
sfondo un paesaggio metropolitano: grattacieli, luci,
movimento, traffico. A ricordare che è partito
tutto da lì, dalla fiction americana.
Le amiche sono infatti glamour, c'è un gran
parlare di griffe, scarpe, vestiti. C'è la
"Samantha de' noantri", Eleonora (Emy Bergamo),
alla perenne ricerca del sesso travolgente, sexy con
linguaggio esplicito. Una "uoma": un essere
geneticamente modificato da una mente maschile.
Non c'è nulla di male nel citare qua e là.
Però si va oltre. Qui manca la sintesi. C'è
un po' di tutto: la moda, il sesso, i chili di troppo,
il dramma femminile dei gay che aumentano (che sia
troppo bello essere donne?). Piccoli e grandi drammi
personali (un aborto, una violenza familiare, un mancato
rapporto madre-figlia, un padre troppo preso dalle
amanti). E poi?
Il finale non risponde alla domanda, è quasi
buttato via, gioca l'effetto sorpresa, che sorpresa
non è: il luogo comune del fidanzato condiviso
dalle amiche. Verrebbe da citare la filosofa francese
Anne Dufourmantelle: in "Sesso
e filosofia", afferma che le donne che
imitano la visione consumistica dell'amore maschile,
alla fine soffrono di più. E' un modello che
non gli appartiene.
Sia chiaro, una commedia brillante non deve rispondere
a tutti i quesiti dell'umanità, ma può
cercare di andare oltre il quotidiano. Proprio perché
il teatro è il luogo della fantasia, che può
anticipare la realtà.. Perché non osare
di più? Perché non percorrere altre
strade? Perché non rischiare, abbandonando
il confort del format di successo, e trovare qualcosa
di nuovo, che magari non ha successo immediato, ma
apre un varco, una strada?
Le attrici sono credibili, Michela Andreozzi (Vanessa)
più delle altre, anche se non affonda quando
puo' investigare il dolore del rapporto conflittuale
con il corpo (tema che da solo potrebbe riempire una
commedia). La scrittura e la regìa sono scorrevoli,
ma troppo collaudate.
E' uno spettacolo patinato, dall'effetto immediato
ma resta in superficie, non lascia nulla.
[deborah ferrucci]