Debutta
“4.48 Psychosis”
di Sarah Kane per la regia del giovane Simone Giustinelli,
che già vanta numerosi riconoscimenti e di
recente è stato aiuto regia di Pierpaolo Sepe
per “Medea”. Ultimo scritto della Kane
(risale al 1999), considerato una sorta di testamento
esistenziale e artistico dell’autrice, “4:48
Psychosis” viene rappresentato per la prima
volta un anno dopo la sua morte.
La
Kane stessa ha precisato che il testo «parla
di un crollo psicotico e di quel che succede nella
mente di una persona quando cadono le barriere che
dividono la realtà dall’immaginazione,
quando non si ha più la capacità di
capire la distinzione tra vita onirica e vita reale;
e anche quando non si riesce a discernere dove finisce
il proprio io e inizia il mondo». Ugualmente
surreale si rivela la discesa nei sotterranei del
teatro dei Documenti, spazio scenico ideato come un
unicum negli anni Ottanta da Luciano Damiani (scenografo
di Strehler: un percorso di stretti cunicoli imbiancati
a calce, che collegano tra loro stanze illuminate
da luci rarefatte e arredate con sedute e infissi
tendenti al beige. Il cammino prepara lo spettatore
a una dimensione performativa atemporale e straniante.
La protagonista del monologo si trova già inserita
nel sinistro contesto scenografico, una rete e un
materasso disposti in maniera scomposta, una trave
adagiata obliqua alla parete e alla base calcinacci
e pietre ammucchiati alla rinfusa, una vasca da bagno
e un amplificatore con microfono. Il pavimento e i
pannelli sul fondale sono ricoperti da materiale da
imballaggio che contribuiscono a conferire all’ambiente
un carattere asettico e impersonale; anche le luci
ricreano una dimensione perturbante.
Il
monologo è sostenuto con efficacia da Valentina
Beotti, in grado di rendere in maniera viscerale il
flusso di coscienza psicotico della protagonista,
dilaniata tra la sua realtà e il reale, dove
i medicinali non sono altro che palliativi ad un dolore
radicato e straziante che nessuno può comprendere
o redimere. Una bomba ad orologeria sul punto di implodere,
fino a raggiungere l’apice simbolico in chiusura
dove, nella vasca da bagno ribaltata, si spegne definitivamente
la luce.
Spettacolo
interessante e con potenziale; si potrebbe rendere
meglio il lacerante grido d’amore che talvolta
si perde nelle convulsioni emotive del racconto.
[benedetta
corà]