Nel 1968 Trastevere era irresistibilmente vivo. Sui gradini
della fontana di Santa Maria tutte le notti si alternavano esibizioni
canore, scontri ideologici, scambi di bottiglie, libri, spinelli.
Nei vicoli del quartiere i turisti stranieri aggrappati alle
proprie borse lanciavano grida di gioia quando riuscivano a
salvarle dagli scippi. Si disperdevano negli stessi vicoli giovani
in eskimo che sfuggivano alle cariche della polizia. Gian Maria
Volonté affascinava gli abitanti del quartiere con comizi
in difesa delle loro case prese di mira dai miliardari stranieri.
In vicolo dei Panieri dall’ultima stalla uscivano puledri
cavalli carrozze. Accanto, in un angolo diroccato e apparentemente
abbandonato, gli stallieri facevano abbeverare i propri animali.
Dopo l’Accademia Silvio D’Amico e un’intensa
esperienza con Dario Fo e Franca Rame, in quel luogo ho fatto
nascere Spazio Uno, tra volantinaggi con massime di Mao e inevitabili
curiosità per gli spettacoli del teatro ufficiale, dove
affogavo nella noia.
“Il bagno” di Majakovskij è stata la mia
prima produzione, recitavo accanto a Carlo Cecchi, attore e
regista. Solo vent’anni dopo ho proposto ad Enrico Job
di rinnovare la struttura dello Spazio per gettare un ponte
tra l’ufficialità e la sperimentazione che cominciava
a invecchiare ripetendo mode, abitudini, rituali falsificati,
abusati. Non dimenticherò mai la gioia provata nel farmi
di dirigere da Job nella “Medea” di Heiner Muller,
nella “Alcesti” che Elio Pecora aveva scritto per
me. Mi manca.
In quarant’anni non ho mai tradito gli autori contemporanei
che amavo: Strindberg, Kafka, Céline, Genet, Copi, Heiner
Muller, David Mamet, Carlos Fuentes, Albert Innaurato, LeRoy
Jones, Marius von Mayenburg, Werner Schwab, Ayub Khan-din, Rainer
Werner Fassbinder, gli italiani Elio Pecora, Roberto Calasso,
Enzo Siciliano, Giuseppe Manfridi, Bernardino Zapponi, Riccardo
Reim. Ho amato scrittrici come Griselda Gambaro, Marina Cvetaeva,
Elizabeth Egloff, Ljudmila Razumovskaja.
Quanti teatri alternativi si sono persi nell’arco di questi
quarant’anni! Tanti, putroppo. Con altrettanto interesse
ho seguito le evoluzioni creative dei giovani registi da me
scritturati. Alcuni osannati, altri dimenticati, altri commercializzati.
Ho ricordi intensi, emozioni rare. Li avrei aiutati molto di
più se avessi avuto sovvenzioni oneste.
Thomas Berhard è un autore che da anni volevo rappresentare.
Ci sono riuscita con “La brigata dei cacciatori”.
Poi ho fermato lo Spazio per un anno tentando di rappresentare
il suo primo testo teatrale, “Una festa per Boris”.
Dopo un anno di incontri con registi coreografi attori, ho dovuto
rinunciare. Intrappolata nella feroce malinconia di questo autore,
con il mio spettacolo “La casa della notte” festeggio
il compleanno di Spazio Uno, che compie 40 anni. La protagonista,
buona e cattiva, è il simbolo di una famiglia in disgregazione,
rappresenta il conflitto di una donna creativa in rapporto agli
uomini. La paura, la rabbia, ma anche la capacità di
analisi di una realtà volgare rischiano di sconfiggerla.
E’ la mia prima regia. Anche l’ultima? Lo vedrò
nei prossimi 40 anni.
Nel testo ci sono molte citazioni, soprattutto di Thomas Bernhard
. Il supporto narrativo è di Giovanni Franci. Con me
recitano Paolo Zuccari, Luca Mancini e giovani attori allievi
e diplomati di varie scuole di recitazione. Partecipazione straordinaria
della cantante Barbara Eramo. Elsa Piperno, che iniziava trentotto
anni fa le sue prime serate di danza contemporanea, collabora
a “La casa della notte” con un suo inserto coreografico.
[Manuela Morosini, autrice e regista]
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