In scena per quattro settimane,
dal giovedì alla domenica. Cosa propone allo spettatore
romano?
Presento “Di nuovo Buonasera”, nato quasi due
anni fa. Il testo racconta i segreti e le caratteristiche
dei teatri classici italiani dove passava la prosa, il varietà…
I principi del varietà vengono riproposti secondo le
peculiarità tipiche dell’epoca, intervallati
da digressioni e piccole apparizioni in scena. Questa volta
sul palcoscenico c’è molta gente, dodici ballerini
guidati dal coreografo Fabrizio Angelini e l’orchestra
diretta da Mario Vicari. Senza dimenticare le mie due figlie,
Susanna (attrice) e Carlotta (cantante).
Ha
scelto qualcosa di speciale per dare ‘inizio alle danze’?
Eduardo De Filippo: è un omaggio al suo teatro. Propongo
un atto unico, “Pericolosamente” una specie di
sketch di varietà; Luca De Filippo mi ha gentilmente
concesso di portarlo in scena e ne sono onorato, è
un piccolo capolavoro di genere che introduce il teatro di
varietà. Quando due mesi fa l’ho presentato a
Napoli ero molto teso, tremavo all’idea della risposta
del pubblico. Il napoletano è una lingua accecante,
epica: Viviani per esempio non potrei mai metterlo in scena.
Roma
è l’ultima tappa in cartellone?
Per ora sì, concludo nella mia città una mini
tournée presentata in poche piazze come Bari, Milano
e nel Veneto. L’accoglienza è stata ottima ovunque,
ben oltre le aspettative. Questa di Roma è un Homecoming,
un ritorno a casa. È come quando si torna in un posto
a cui si è affezionati dopo tanto tempo: tutto sembra
più piccolo.
Cosa
rappresenta per lei il teatro di Garinei&Giovannini?
Il Sistina per me è casa: qui ho avuto la benedizione
del pubblico grazie ad “Alleluia brava gente”
nel 1969, ma ho anche avuto il privilegio di poter mettere
in scena dei veri e propri esperimenti, grazie alla fiducia
accordatami da Pietro Garinei e Sandro Giovannini: il “Cirano”
del 1985 e “Kean”. Quest’ultimo è
stato un vero esperimento: un monologo composto da un insieme
scelto di assolo drammatici di William Shakespeare. Fu una
vittoria, ma ora non potrei più rimetterlo in scena,
riuscirei a recitarne giusto la metà, era molto faticoso.
Cosa pensa dell’attuale
situazione del teatro italiano?
Credo che la gestione dei teatri non abbia una regola di base
nella proposta degli spettacoli, a parte qualche stabile come
il Sistina. Sento che da qualche tempo mancano dei progetti
che definiscano un cartellone. I teatranti, invece di mugugnare,
dovrebbero proporre di più. La politica del “ndo
cojo cojo” non è condivisibile.
Anche
quest’anno segue il cartellone del Globe Theatre?
L’esperienza del Globe Theatre è interessante.
L’idea è nata per festeggiare i 100 anni della
donazione della villa stessa da parte della famiglia Borghese
al Comune. Accettai la proposta di allestire uno spettacolo,
come altri miei colleghi. E così venne fuori l’idea
del Globe; la Fondazione Cristiano Toti accettò di
donare il teatro ed è ancora lì. Quest’anno,
con il cambio di giunta avevamo delle preoccupazioni, ma il
sindaco Alemanno mi ha assicurato che per altri tre anni andremo
avanti. La stagione inizia i primi di luglio sempre con lo
stesso intento: Shakespeare proposto con finalità divulgative.
Qualche
tempo fa si è parlato di lei come papabile direttore
del Teatro di Roma, ma la proposta non andò in porto.
Cosa accadde?
È stata un’ipotesi proposta da Walter Veltroni,
allora sindaco della capitale. Io ho rifiutato immediatamente
perché sentivo che non mi sarei più divertito,
unico scopo per cui faccio teatro. Ma nessuno lo ha saputo.
Sono scaturiti solo degli attacchi spropositati verso la mia
professionalità. Ricordo che un giornalista disse:
“Se Proietti dirige il Teatro di Roma, attenzione, si
parlerà solo romanesco”. Eppure al Globe non
si parla romanesco, mai. Ma se anche fosse? Se capitasse di
proporre testi in dialetto romano, che male ci sarebbe?