La più forte - Emanuela Ponzano
[valentina venturi]

“Forse sono io ora la più forte. Forse…”. Su questa frase, rappresentativa di incertezze e dubbi, si dipana lo spettacolo scritto, diretto e interpretato da Emanuela Ponzano, in scena al Piccolo Jovinelli fino al 2 marzo.

Come è nata l’idea dello spettacolo, realizzato con la compagnia KAOS?
Ho sentito il bisogno di rendere omaggio a Ingmar Bergman, a pochi mesi dalla sua morte. Ha dato molto alla storia del cinema, trattando temi fondamentali per l’individuo. Per non parlare della tecnica: nella sua cinematografia il bianco e nero ha da sempre creato un meraviglioso mondo onirico, fondando la storia del cinema. In più Bergman è stato anche un regista teatrale. Ho pensato di unire queste forme d’arte, rendendogli omaggio. Ho perciò analizzato le due donne protagoniste del “La più forte” e di “Persona”, immaginando una rappresentazione “intima” dove lo spazio teatrale diventa il trade d’Union dei diversi linguaggi della fotografia, del cinema, del video, della musica.


In questo progetto, come rientra August Strindberg?
Studiando Bergman, ho scoperto che per i suoi lavori faceva riferimento proprio all’autore svedese. Quindi ho pensato che “La più forte” fosse il testo migliore per omaggiare il regista di “Persona”. La vicenda è ambientata ai giorni d’oggi, ma senza tralasciare il bianco e nero ricco di suggestioni proprio dello stile di Bergman.

Sulla scena le protagoniste interagiscono con qualcosa?
Io e Giulia Mombelli (rispettivamente la donna Y e la donna X) siamo sedute su due panchine identiche, dotate di rotelle. In questo modo possiamo spostarci, creando un mondo onirico e nel contempo coinvolgere lo spettatore nel dialogo fatto anche di silenzi e sguardi. C’è anche un tavolino e un oggetto che apparirà in un determinato momento dello spettacolo, per palesare l’odio che intercorre tra le due donne. Siamo due individui diametralmente opposti per vita e scelte: una è sposata con figli, mentre l’altra è nubile e dedita alla carriera. Eppure alla fine ci ritroveremo unite…

È prevista anche la proiezione di un cortometraggio?
Lo schermo propone un insieme di immagini che rappresentano l’inconscio dei personaggi. Mentre sul palcoscenico si svolge l’evento teatrale, la parte psicologica della vicenda si palesa alle spalle delle attrici. I due momenti si alternano, legando tra loro scena e schermo.

I temi fondanti della poetica di Bergman sono l’incomunicabilità e il silenzio. Sono anche le basi dello spettacolo?
Certamente, senza dimenticare gli spettri e i fantasmi. Ho cercato di riportare sul palco il suo mondo, fatto di realtà e finzione, trasformando i personaggi stessi in anime. Un aiuto notevole è venuto dalla magia che crea il teatro d’ombra. Le figure diventano fantasmi. Sono dei veri e propri primi piani cinematografici, ma vivi, in carne e ossa. I due visi pian piano si intrecciano, diventando uno.

Quali reazioni si aspetta dal pubblico?
Mi auguro che sin dalla locandina, si interessino all’arte di Bergman. Con lo spettacolo desidero rendergli omaggio, ricordarlo. E prendendo come spunto narrativo lo scontro tra due donne, rendo omaggio anche questa figura, da sempre in primo piano nel mondo del cineasta svedese. Senza dimenticare il silenzio: è una tematica propria dell’autore di “Scene da un matrimonio”. Ormai c’è troppo chiasso intorno a noi: si parla troppo e si dice ben poco. Ha avuto ragione Roberto Benigni, quando ai Cesar ha chiesto un minuto di silenzio in ricordo di Ingmar Bergman e di Michelangelo Antonioni. Facciamo parlare il silenzio.

 

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