THE READER
ha inizio nella Germania dopo la fine della seconda guerra
mondiale, quando l’adolescente Michael Berg si sente
male e viene aiutato ad arrivare a casa da Hanna, un’estranea
che ha il doppio dei suoi anni. Michael si riprende dalla
scarlattina e cerca Hanna per ringraziarla. Così, i
due rapidamente rimangono coinvolti in una relazione segreta
e appassionata.
Michael scopre che Hanna ama sentir leggere e il loro rapporto
fisico si trasforma in qualcosa di più profondo. Hanna
è entusiasta che Michael le legga L’odissea,
Le avventure di Huckleberry Finn e La signora con il cagnolino.
Nonostante il loro rapporto, un giorno Hanna scompare misteriosamente,
lasciando Michael confuso e addolorato.
Otto anni più tardi, mentre Michael è uno studente
di legge che osserva i processi per i crimini di guerra nazisti,
è sconvolto nel veder tornare Hanna nella sua vita,
questa volta come imputata in tribunale. Mentre il passato
della donna viene rivelato, Michael scopre un segreto importante
che avrà un forte impatto sulle loro vite.
Dal
libro al film
THE READER affronta per molti versi il potere delle parole
e della lettura. Per questo, risulta naturale che il film
abbia avuto origine da un libro apparentemente semplice, ma
di grande impatto emotivo, “un romanzo formalmente bello,
inquietante e alla fine decisamente devastante”, secondo
il Los Angeles Times.
Scritto da Bernhard Schlink, professore di legge a Berlino
e autore di gialli, A voce alta, edito in Italia da Garzanti,
è un libro semiautobiografico, pubblicato per la prima
volta nel 1995 per essere poi tradotto in 40 lingue ed è
diventato il primo libro tedesco ad arrivare in testa alla
classifica del New York Times, ottenendo una grande popolarità
nel 1999, dopo che Oprah Winfrey lo aveva scelto per il suo
celebre club del libro. “Chi avrebbe mai pensato che
un libro di sole 218 pagine potesse suscitare tante emozioni?”,
si era chiesta la Winfrey, notando come tanti uomini avessero
letto il romanzo, un numero maggiore rispetto a ogni altro
titolo selezionato, prima ancora che fosse discusso nel suo
programma.
“E’ una storia su quella che definiamo la ‘seconda
generazione’”, sostiene Schlink, descrivendo i
ragazzi “che per fortuna sono nati dopo” gli anni
della guerra. “Siamo cresciuti in maniera molto ingenua
fino a quando, a un certo punto, abbiamo capito quello che
avevano fatto i nostri genitori, sacerdoti e insegnanti.
Quando si ama qualcuno che è rimasto coinvolto in qualcosa
di orribile, si possono vivere grandi conflitti”. In
Germania, il movimento per comprendere la guerra ha coniato
anche un proprio termine psicologico,‘vergangenheitsbewältigung’,
che significa ‘la lotta per venire a patti con il passato’.
Il romanzo viene considerato talmente importante per comprendere
la storia nazionale da essere stato
adottato come libro di testo nelle scuole tedesche.
I diritti cinematografici di A voce alta sono stati acquistati
da Harvey Weinstein e dalla Miramax Films nel 1996. Anthony
Minghella e il suo partner produttivo Sydney Pollack si sono
fatti coinvolgere da Weinstein. Minghella intendeva scrivere
la sceneggiatura e dirigere il film. Ma anche il drammaturgo
David Hare, che più tardi sarebbe stato candidato all’Oscar
per il suo lavoro con The Hours, aveva letto il libro di Schlink
e desiderava adattarlo. Visto che Minghella aveva appena fatto
razzia di Oscar grazie a Il paziente inglese e stava valutando
altri progetti grandiosi, Hare ha tentato di convincerlo a
cedergli l’incarico di scrivere THE READER, ma Minghella
continuava a volersene occupare personalmente.
Quasi un decennio più tardi, senza una sceneggiatura
completa, Daldry, che aveva studiato tedesco da ragazzo e
aveva vissuto a Berlino, chiede a Minghella di poter dirigere
THE READER. Capendo che sarebbe stato necessario ancora del
tempo prima di poter essere coinvolto personalmente con la
produzione, Minghella accetta di lasciare il film in mano
a Daldry, a condizione che Daldry ne faccia il proprio esclusivo
progetto e che lui stesso e Pollack siano coinvolti come produttori.
Per la sceneggiatura, Daldry pensa subito a Hare. “Abbiamo
fatto The Hours e quindi questo è il secondo film complicato
e decisamente ambizioso che abbiamo realizzato insieme”,
sostiene Hare. “Abbiamo un legame forte, proprio come
delle persone che hanno combattuto insieme in guerra, e conosciamo
sia i nostri punti di forza che le nostre debolezze”.
Rispetto al romanzo di Schlink, che si svolge seguendo l’ordine
cronologico in tre fasi distinte, la sceneggiatura di THE
READER “salta nel tempo”, per utilizzare le parole
di Hare, con una struttura che trasporta lo spettatore nella
vita del personaggio principale in differenti momenti tra
gli anni cinquanta e i novanta, per poi magari tornare indietro.
Affermato drammaturgo, regista e autore diffidente verso l’obbedienza
cieca alla tradizione, Hare cerca sempre di essere originale
nel suo lavoro e per questo adattamento studia un approccio
eccitante e innovativo, senza utilizzare quelle “orrende
e vecchie voci off” che spesso accompagnano le narrazioni
in prima persona.
“Quando vado al cinema, sono decisamente annoiato dai
film in cui posso intuire le intenzioni e i personaggi fin
da quando entro in sala”, dice Hare, determinato a liberare
THE READER dai meccanismi narrativi dei precedenti film sul
periodo postbellico che trattano di campi di concentramento,
ansie e complicità individuali nei crimini commessi
dallo Stato. “Sono interessato soltanto alle cose che
non appartengono a un determinato genere. Sicuramente, questo
non può essere definito il classico ‘film sull’Olocausto’”.
“Sono stati realizzati 252 film sull’Olocausto”,
sostiene Daldry, “e io spero che ne vengano girati almeno
altrettanti in futuro”. Ma THE READER è qualcosa
di diverso, secondo il regista, che lo definisce “un’opera
strana” e che sovverte le aspettative. Sfidando il trend
delle precedenti storie di sopravvivenza, un personaggio che
scopriamo durante il film e che è sopravvissuto ai
campi di concentramento è ritratto come un pilastro
morale e con grande forza intellettuale rispetto alla solita
vittima debole che siamo abituati a vedere.
Mentre Hare, Daldry, Minghella e Pollack capiscono bene il
valore dell’innovazione e della sperimentazione cinematografica,
un aspetto del progetto non è mai venuto meno: il rispetto
e l’onore per le vittime dei crimini di guerra nazisti.
C’era un tacito accordo tra i realizzatori che il termine
“perdono” non sarebbe mai stato menzionato. In
effetti, il film evita i vaghi concetti di redenzione e perdono
per trattare invece il problema di come una nuova generazione
venga a patti con il suo fosco passato.
A questo scopo, lo sceneggiatore e il regista sono andati
in giro in Germania con Schlink per discutere la colpa postbellica
e le reazioni controverse che ha provocato il suo romanzo.
“Il libro ha un importante significato storico in quel
Paese”, rivela Daldry. “E’ un romanzo che
affronta il problema di come continuare dopo quello che è
avvenuto”.
“Ha suscitato grandi consensi, ma anche violenti attacchi”,
aggiunge Hare. “Cercare di esplorare e comprendere i
crimini nazisti è una questione pericolosa e complessa,
perché si può involontariamente oltrepassare
una linea sottile”.
Determinato a spiegare “come i figli di una generazione
criminale hanno vissuto con le conseguenze dei misfatti dei
genitori”, Daldry non voleva scendere a compromessi.
“Il film affronta di petto i crimini di guerra”,
sostiene il regista, attento a non ritrarre le guardie dei
campi di concentramento come orchi orribili o cattivi eccessivi,
ma piuttosto mostrandoli come lavoratori normali e uguali
a tanti altri. “Mette in primo piano le persone comuni
che hanno commesso questi crimini e quindi la banalità
del male”.
A differenza
di tanti sceneggiatori il cui contributo termina dopo che
hanno fornito l’ultima versione dello script, Hare invece
è stato il benvenuto durante le riprese da Daldry,
come avvenuto per The Hours.
“Stephen mi ha permesso di essere un collaboratore dall’inizio
delle riprese alla fine del montaggio”, rivela il drammaturgo.
“Lui non vuole persone che non siano pronte a impegnarsi
in maniera profonda. Inquesto senso, sembra più di
lavorare in teatro che al cinema. E’ il regista più
accurato con il quale abbia mai collaborato e nulla viene
girato per caso”.
Anche l’autore del romanzo, Schlink, ha partecipato
in un modo che non avrebbe mai potuto immaginare, facendo
una comparsata in una scena in esterni in un cortile, dove
gli sventurati amanti Hanna e Michael pranzano nel corso di
un giro in bici. E’ stato in quell’occasione che
ha potuto assistere all’ossessione di Daldry per l’accuratezza
e la sincerità fin nei minimi dettagli, che si trattasse
di un oggetto d’epoca o uno sguardo fugace di uno degli
attori. “Stephen è molto sensibile verso le cose
più piccole e sottili, una dote che ammiro profondamente”.