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Anno
2010
Nazione
Francia
Genere
commedia
Durata
154'
Uscita
06/04/2012
distribuzione
Lucky Red |
Regia |
Guillaume
Canet |
Sceneggiatura |
Guillaume
Canet |
Fotografia |
Christophe
Offenstein |
Montaggio |
Hervè De Luze |
Scenografia |
Philippe
Chiffre |
Costumi |
Carine Sarfati |
Produzione |
Les
productions du Trèsor, Europa Corp., Caneo Films,
M6 Films |
Interpreti |
François
Cluzet,
Marion Cotillard,
Benoit Magimel,
Gilles Lellouche |
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Esiste
un nuovo genere meno famoso del thriller, del dramma sentimentale
o del film sportivo, ma pur sempre gettonatissimo: il dramma
corale sui trenta-quarantenni in crisi.
Tutto ebbe più o meno inizio nel 1983, sulle note di
“I heard it through the grapevine”, con “Il
grande freddo” di Lawrence Kasdan e
pare che il numero delle rappresentazioni sia inversamente
proporzionale all'appeal delle generazioni prese in osservazione.
Come appunto quella attuale, spesso priva di grandi contenuti,
a volte squallida nelle sue contorsioni psico-sessuali, raramente
davvero interessante, ma sempre più sotto i riflettori.
Eppure Guillaume Canet ha trovato abbastanza spunti per raccontare
per due ore e mezza le vacanze al mare di un gruppo di amici
che ha scelto di partire comunque, nonostante uno dei membri
(Jean Dujardin) sia ricoverato in ospedale dopo un grave incidente
motociclistico. A fare da padrone di casa è un imprenditore
paranoico e sempre in bilico tra boriosità e simpatia
(François Cluzet, ammirato di recente in “Quasi
amici” e decisamente il migliore del
cast), il resto della comitiva è formato da un'antropologa
impaurita dalle relazioni durature (Marion Cotillard), un
fisioterapista con una sessualità più complessa
di quanto possa apparire, uno scapolo impenitente, un insicuro
che non riesce a prendere in mano le redini della propria
relazione affettiva, e via dicendo, con contorno di figli
al seguito, musicisti sensibili, adepti zen e pescatori d'ostriche
del luogo con funzioni da guru.
Le piccole bugie di cui parla il titolo sono quelle che vengono
usate nei rapporti interpersonali e anche con se stessi per
sfuggire alle domande a volte inesorabili che la vita di volta
in volta pone a ciascuno di noi. Tutti i nodi vengono fatti
venire al pettine con attenzione, sensibilità e tanta
furbizia, nella speranza di tenere sempre viva l'attenzione
di chi guarda con qualche risata o un colpo di scena. A sottolineare
le scene più significative c'è una colonna sonora
di facilissima presa, che se ha l'onestà intellettuale
di lasciare in pace Marvin Gaye almeno per questa volta, non
ha timori nel ripescare di nuovo dagli anni '70 Creedence
e Janis Joplin e di chiamare in causa dall'attualità
Ben Harper e Antony Hegarty. Insomma come pure riguardo alla
storia, non si discute sul valore delle scelte, ma è
pur lecito aspettarsi qualche illuminazione. È giusto
sottolineare però come, grazie ad un buon cast e ad
una regia attenta, l'impianto regga nonostante l'ambizione
e l'eterogeneità degli argomenti; peccato che l'equilibrato
approccio autorale non si dispensi dal giocare la carta melodrammatica
proprio nel finale per provare a mettere tutti d'accordo.
Tra le sue fonti per questa sua terza opera, Canet oltre a
Kasdan cita il Cassavetes di “Mariti”;
sarà che questo è il Paese di Ozpetek e degli
“Immaturi”,
ma la leggendaria performance di Ben Gazzara e Peter Falk
sembra comunque un po' lontana, oscurata forse da tanta fiction
stereotipata che nel frattempo ha riempito le sale. [emiliano
duroni]
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