Triste,
solitario y final come nell'omonimo romanzo di Osvaldo Soriano
è l'atmosfera che si respira e permea i personaggi
protagonisti di questo insolito giallo diretto dalla figlia
di Michael Mann, Ami Canaan Mann, Le
paludi della morte.
Killing Fields sono le paludi intorno
a Texas City in cui vengono abbandonati i corpi di giovani
donne, apparentemente vittime di un serial killer locale.
Indagano su questi omicidi il detective Mike Souder ed il
suo giovani partner appena sbarcato in provincia dalla metropolitana
New York.
Ispirato ad eventi realmente accaduti, scritto da un ex-poliziotto
Don Ferrone, la pellicola ha molto di Michael Mann, dai tempi
diradati dell'azione all'atmosfera sospesa tra un malessere
malsano e contagioso; da una fotografia che esalta i toni
scuri che sono quelli dei protagonisti lacerati da problemi
personali che si ripercuotono su quelli professionali ed una
musica che lega il tutto aiutando a costruire il background
estetico e psicologico del film.
Nonostante l'ingombrante presenza paterna la giovane regista
firma una pellicola che afferma con convinzione una propria
estetica, insegue la ricerca di un linguaggio personale che
colpisce e si fa ricordare, sebbene presenti divagazioni lasciate
in sospeso e personaggi con completamente risolti.
Ma ciò che colpisce positivamente
è la maturità di costruzione di un mondo incancrenito,
in cui la “speranza” risiede nelle piccole cose,
in cui il sogno di un mondo migliore o almeno diverso appare
in raggi di sole che riescono a farsi spazio tra nuvole oscure
cariche di pioggia, rabbia, disperazione.
La trama gialla, la ricerca dell'assassino
non è altro che un MacGuffin hitchcockiano per mettere
in scena dinamiche psicologiche e comportamentali quasi antropologiche
che danno alla pellicola uno spessore diverso da quelle in
uscita in questa calda estate, facendo de Le paludi della
morte una buona ragione per godersi un paio d'ore di aria
climatizzata all'ombra di un grande schermo.
[fabio
melandri]