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Anno
2012
Nazione
USA
Genere
storico
Durata
145'
Uscita
24/01/2014
distribuzione
20th Century Fox |
Regia |
Steven
Spielberg |
Sceneggiatura |
Tony
Kushner |
Fotografia |
Janusz
Kaminski |
Montaggio |
Michael
Kahn |
Scenografia |
Rick Carter |
Costumi |
Joanna
Johnston |
Musica |
John Williams |
Produzione |
Reliance Entertainment,
Participant Media,
Dune Entertainment,
Amblin Entertainment
The Kennedy/Marshall Company |
Interpreti |
Daniel
Day-Lewis, Sally Field, Joseph Gordon-Levitt, Tommy
Lee Jones, David Strathairn, James Spader, Tim Blake
Nelson, Jackie Earle Haley, John Hawkes, Hal Holbrook |
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Quanto
sono noiosi i biopic... Raccontare sul grande schermo le “vite
di uomini/donne illustri” in maniera avvincente, emozionante,
originale, è ostacolo su cui anche i migliori registi
sono inciampati. A memoria il biopic più riuscito ed
avvincente della storia del cinema è da considerarsi
Quarto potere di
Orson Welles, anche se solitamente la pellicola non è
classificata in tal modo.
Steven Spielberg era riuscito nell'intento con Schindler's
List, ma in quel caso la “materia”
aiutava l'aspetto emozionale del racconto oltre alla radicalità
dello stile scelto dal regista americano.
Ora ritenta il genere con Lincoln
ritratto degli ultimi anni della vita e Presidenza di Abraham
Lincoln 16º Presidente degli Stati Uniti d'America. Repubblicano,
passato alla storia come il Presidente che pose fine alla
schiavitù, prima con la Proclamazione dell'Emancipazione
(1863) che liberò gli schiavi negli Stati dell'Unione
e poi con la ratifica del XIII emendamento alla Costituzione
con il quale nel 1865 la schiavitù venne abolita in
tutti gli Stati Uniti, poco prima che la sua vita fu terminata
da un colpo di pistola durante una rappresentazione teatrale
a Washington.
I pregi della curatissima
pellicola in corsa agli Oscar sono evidenti: dall'impressionante
aderenza fisica del protagonista Daniel Day Lewis al personaggio,
alla minuziosa ricostruzione storica di luoghi, costumi ed
eventi di quegli anni, la cui importanza risulta sin troppo
evidente oggi con un Presidente nero come Obama. A fronte
di questo fanno sorridere alcune posizioni “schiaviste”
raccontate nel film, come la contrarietà “generale”
al voto alle donne, quando si prospetta tra quattro anni ad
una possibile Presidenza femminile. Ma rischiamo di divagare.
Tornando alla materia filmica, Spielberg (nell'ideale secondo
capitolo del suo racconto sulla schiavitù in America
dopo Amistad)
costruisce un film molto documentato dal punto di vista storiografico,
cercando di allentare la tensione e raccontare anche l'uomo
Abraham con inserti della vita privata del Presidente: dal
rapporto amorevole con il figlio più piccolo a quelli
più combattuti con moglie e primogenito, con sullo
sfondo l'ombra pesante di una morte inaspettata.
Il difetto maggiore risiede proprio nella sua virtù
più esplicitata. Il film è noioso come un manuale
scolastico di storia. Se non si è sostenuto almeno
un esame di Storia degli Stati Uniti, si fa fatica a seguire
gli eventi raccontati, mentre l'aspetto emozionale che dovrebbe
rendere la materia meno ostica ed accademica rimane quando
va bene sullo sfondo.
La tendenza ad un'immagine
agiografica del Presidente è sempre lì pronta
a manifestarsi: Lincoln fa quello che fa sia perché
ci crede (ma non si capisce dal film dove nasca questa sua
“foga”) sia perché l'economia degli Stati
dell'Unione, al contrario di quelli Confederati, non era basata
sugli schiavi; pur di raggiungere il suo scopo non si fa scrupolo
di posticipare la fine della Guerra Civile, causando il massacro
centinaia di giovani americani da entrambe le barricate. Un
chiaroscuro della personalità accennata e non approfondita.
Così per
145' Spielberg ci accompagna all'interno delle segrete camere
della Casa Bianca, del Congresso, a contatto con piccoli e
grandi ricatti che governano la politica, assistendo alle
prime attività di lobby e di, come le chiamerebbe oggi
Bersani, scouting. Un film prettamente di interni, teatrale,
dove gli echi del Paese in rivolta giungono lontani e soffocati;
ieri come oggi in Grecia ed in Italia. Le stanze del potere,
ben raccontate da Spielberg, ed il Paese reale appaiono nel
film così lontani come appartenenti a mondi diversi;
proprio in questa scissione risiede la contemporaneità
della pellicola.
[fabio melandri]
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