Il ministro della difesa israeliano
dell’epoca, Ariel Sharon, aveva sviluppato un
inverosimile piano ultra-ambizioso: occupare il Libano
fino a Beirut, inclusa Beirut, e far nominare presidente
del Libano il suo alleato cristiano, Bashir Gemayel.
L’obiettivo era quello di sdradicare la minaccia
allo Stato di Israele dal nord ed espandere il fronte
anti siriano. Sharon e i capi militari superiori erano
effettivamente gli unici a conoscenza del piano. Mentre
il governo israeliano aveva approvato esclusivamente
un’operazione relativa all’occupazione di
40 km di territorio, le IDF (Forze di difesa israeliane)
si spingevano oltre a tutta velocità in direzione
di Beirut.
Nell’agosto del 1982 le IDF erano ferme alla periferia
di Beirut nell’attesa dell’ordine di penetrare
nella capitale. Intanto era stato sottoscritto un trattato
che permetteva a tutti i combattenti palestinesi di
essere evacuati da Beirut su navi dirette in Tunisia.
In cambio le IDF avrebbero smesso di minacciare di penetrare
all’interno della città. Quella stessa
settimana, Bashir Gemayel, comandante in capo della
milizia cristiana “falangista”, veniva eletto
presidente del Libano. Gemayel era considerato come
un uomo dotato di immenso carisma, un affascinante giovane
uomo, bello e immensamente ammirato da tutti i miliziani
cristiani e dalle loro famiglie, così come dai
leader israeliani.
Mentre faceva un discorso al quartier generale dei falangisti
a Beirut est, Bashir Gemayel veniva ucciso con una forte
carica di esplosivo. Il responsabile dell’omicidio
è ancora sconosciuto. Quel pomeriggio, le truppe
israeliane penetravano in un’area di Beirut ovest
abitata in quel periodo prevalentemente da rifugiati
palestinesi, e circondavano i campi profughi di Sabra
e Shatila. Verso sera, consistenti forze falangiste
si dirigevano in quella zona, spinte da un forte desiderio
di vendetta per la morte del loro venerato Bashir Gemayel.
Al calare della notte le forze falangiste entravano
nei campi profughi di Sabra e Shatila aiutati dai fari
per l’illuminazione delle IDF. L’obiettivo
dichiarato delle forze cristiane era quello di ripulire
i campi dai combattenti palestinesi. Ma virtualmente
non c’erano combattenti palestinesi rimasti nei
campi profughi, visto che erano stati tutti imbarcati
su navi dirette in Tunisia due settimane prima. Per
due giorni interi si sentì provenire dai campi
il suono di spari e combattimenti, ma fu solo il terzo
giorno, il 16 settembre, quando donne terrorizzate si
riversarono fuori dai campi tra le truppe israeliane,
che la situazione si fece chiara: per tre giorni le
forze cristiane avevano massacrato gli occupanti del
campo profughi. Uomini, donne, anziani e bambini, erano
stati uccisi con terribile crudeltà. Ad oggi
resta sconosciuto il numero esatto delle vittime che
tuttavia è stimato in 3.000 persone.
La notizia del massacro scioccò il mondo intero
e una protesta spontanea di centinaia di migliaia di
israeliani costrinse il governo ad istituire una commissione
d’inchiesta per indagare sulle responsabilità
delle autorità politiche e militari di Israele.
Il ministro della difesa Ariel Sharon venne riconosciuto
colpevole dalla commissione per non aver fatto abbastanza
per fermare l’orrore una volta venuto a conoscenza
del massacro in atto. Venne costretto a dare le dimissioni
e interdetto dalla carica di ministro della difesa per
un dato periodo di tempo.
Questo non gli ha impedito di essere eletto venti anni
dopo primo ministro dello Stato d’Israele.