Prendete un film, qualunque: d’autore, trash, giallo, panettone, blockbuster. Eventualmente guardatelo, ma non è necessario. Fatevi dare la cartellina stampa dalla casa di produzione. Copiate
la trama che non ve la ricordate o che avete delle difficoltà a riassumere, leggete le intenzioni del regista e mettetele come cappello iniziale.
Proseguite con delle considerazioni ordinarie sulla fotografia, sugli attori o sulla sceneggiatura tipo:
«buchi di sceneggiatura»
«prova particolarmente ispirata»
«in un elegante bianco e nero»
«film scritto bene»
Fate un parallelo per analogia o per contrasto con le opere precedenti dell’autore (sempre facilmente reperibile nella cartellina):
«Ancora si sentono gli echi del precedente»
«È un punto di svolta della carriera del regista»
Finite con delle considerazioni possibilmente ambivalenti:
«Talmente finto da sembrare vero (è valido anche al contrario)»
«Non ci si annoia, ma questo non è cinema»
«Contorto ma in fondo lineare».
Questa è la struttura base sulla quale è necessario, per dare spessore culturale, richiamare sempre a qualche altro regista aggettivando: Kubrikiano, Morettiano, Hitchcockiano. Più la lettura della parola risulta complicata, più verrà considerata profonda. Per esempio: Inarrituiano.
Ultima cosa, per rispettare il politicamente corretto e al contempo andare incontro al lettore, ricorrere alla descrizione del film attraverso un aggettivo in codice come:
RIGOROSO (mattone),
ONESTO (modesto ma conosco il regista),
VOLGARE (si ride).
Per concludere si consiglia l’uso ricorrente delle locuzioni:
«Non è un capolavoro» (vi preserva dalle cantonate)
«È un omaggio a…» ( quando non sapete dove andare a parare).
Nessun commento