“D’estate la cultura non è proprio l’ultima spiaggia”. È lo slogan del Museo MAXXI di Roma per l’estate 2018.

Niente di male, niente di sbagliato, il messaggio è chiaro e il rimando tra arte e mare coagulato intorno al concetto di ultima spiaggia, pur se non originalissimo, potrebbe essere efficace o comunque chiaro e diretto. È l’avverbio che uccide. Quel “proprio” lascia di stucco per la sua mancanza di eleganza, unita a una modestia grammaticale. Non si sta propagandando un prosciutto cotto o il cornetto gelato: l’oggetto è l’arte, la conoscenza, il mondo iperuranico della creazione. Quel proprio è  una volgare ripetizione di un concetto implicito nella frase, ridondanza, tautologia se non ammiccamento.

Ma ammiccamento di cosa? La cultura d’estate non è proprio l’ultima spiaggia nel senso che è la penultima? Oppure proprio nel senso che è ancora peggio, cioè più isolata? Oppure proprio nel senso che non lo è in assoluto, che la cultura è una spiaggia bene in vista con un bello stabilimento, le sedie a sdraio a righe, le cabine di legno, il MAXXI per l’appunto! In questo caso poi non sarebbe che una goffa sottolineatura , un po’ come nel caso , siamo sempre a Roma, nella dicitura delle vetture della polizia municipale che reca la scritta “Roma Capitale”. La capitale è Roma, che bisogno c’è di enfatizzarlo? Boria, insicurezza o irrefrenabile provincialismo?

D’estate la cultura non è all’ultima spiaggia. Sarebbe stato perfetto: efficace, limpido, ironico.

E invece quell’avverbio di troppo “è proprio l’ultima spiaggia della comunicazione”.