«Io voglio vivere! Voglio il successo! E invece vivo rimpiangendo il passato. La mia vita è andata. Se io avessi vissuto una vita normale oggi sarei uno Schopenhauer…». Così il lamento e il tormento dell’anima di “Zio Vanja” arrivano diretti e implacabili a scuotere le coscienze: senza dubbio, ancora oggi la traiettoria che Anton Čechov traccia dell’umano è vera e capace di raccontarsi.

La rappresentazione che Pierpaolo Sepe allestisce al Teatro Mercadante di Napoli, mira ad avvicinare il testo al corpo contemporaneo, con il preciso intento di rendere i personaggi attuali. L’impianto registico scelto da Sepe si legge a partire dalla scenografia scarna, con pochi tavoli e sedie rosse in stile industriale; le pareti del teatro sono nude e dal soffitto gravano sulla scena lastre di plexiglass, sospese come spade di Damocle sulle teste dei personaggi, lasciando così che l’immaginazione scivoli verso le atmosfere cupe del bunker, metafora di coscienze chiuse in se stesse. L’effetto scenico è semplice e d’impatto: quando le lastre vengono lasciate cadere, sulla scena si delinea il confine di quello che, come nel parlatorio di un carcere, diventa lo spazio in cui i personaggi si aprono alle confessioni dei loro reali sentimenti. All’interno vivono invidie, gelosie e amori frustrati di Vanja per Elena, di Sonja per Astrov e di quest’ultimo ancora per Elena.banner

Come accade nella vita, quando non le si concede la sperimentazione del cambiamento e lo spiraglio in lontananza rimane un’immagine ferma cui non si dà valore, così Sepe restituisce al pubblico l’immagine, lasciando che sul fondo del palcoscenico la porta antincendio del teatro sia aperta sulla strada. La luce dei vicoli entra d’improvviso nella cupezza del bunker, ma la porta si richiude più volte senza che nessuno dei personaggi abbia scorto la possibilità di varcarla, alla ricerca di un’alternativa felice.

Bravi gli attori della Compagnia del Teatro Stabile: lo Zio Vanja cui dà vita Giacinto Palmarini è un uomo contemporaneo, livido di rancore, irruento e nervoso per le possibilità perse, la cui responsabilità continua ad attribuire a circostanze esterne; Elena è una donna alla quale Gaia Aprea, sottilmente e ad arte, concede un’ampia gamma di intenzioni, lasciando che sia il pubblico a trovare quella in cui rispecchiarsi; Andrea Renzi tratteggia uno schivo e affascinante medico Astor, così come pure Paolo Serra disegna un patologico professore narcisista arrabbiato con la vecchiaia che irrompe inesorabile nella vita.

Una rappresentazione delicata quella di Sepe, che dà vita ad emozioni vere e contemporanee: un Cechov autentico cui la sonorità di “By the river” di Brian Eno concede, sul finale, la giusta malinconia alla fragile remissività umana.

TitoloZio Vanja
AutoreAnton Pavlovič Čechov
AdattamentoArmando Pirozzi
RegiaPierpaolo Sepe
SceneCarmine Guarino
CostumiThe One
LuciCesare Accetta
Aiuto regiaLuisa Corcione, assistente alle scene Christina Psoni
InterpretiGaia Aprea, Giacinto Palmarini, Andrea Renzi, Paolo Serra, Fulvia Carotenuto, Federica Sandrini, Diego Sepe, Sara Missaglia
Durata150'
ProduzioneTeatro Stabile di Napoli
Anno2015
Applausi del pubblicoRipetuti