Unfaithful

Cinque sedie, quattro protagonisti, due coppie di attori. Come in un anomalo “doppio sogno”, i tradimenti si intersecano: reali o immaginati, raccontati oppure rinnegati. La coppia anziana sta insieme da così tanto da essersi quasi dimenticata il perché, la coppia giovane si arrabatta tra delusione intellettuale e mercimonio di sé. Nello squallore di un albergo che rappresenta il grigiore di un’intera esistenza, ciò che muove i protagonisti all’infedeltà non è un astratto bisogno di trasgressione ma una confusa brama di vita, l’intenzione consapevole di ferire l’altro, il tentativo di cercare una relazione che sia comunicativa ancor prima che sessuale. E proprio sulle relazioni si struttura “Unfaithful”: più che la caratterizzazione dei singoli personaggi, contano i rapporti che si instaurano fra di loro.

Quella curata da Giovanni Guerrieri e Dario Marconcini è una “mise en espace”, una lettura scenica. Tutto è affidato alla parola: niente scenografia, niente musica, soltanto la luce dei faretti, la quinta sedia vuota e i cambi prossemici ad enfatizzare i dialoghi a due, le dinamiche di coppia che si intrecciano. Per certi versi, l’austerità della “mise en espace” e l’assenza di azione scenica creano un felice contrasto con il linguaggio crudo e sessualmente esplicito delle battute. Tuttavia, pur suggerendo stimolanti spunti di riflessione psicologica, il testo non è così avvincente, pungente o rivelatore da sostenere autonomamente un allestimento tanto statico e minimalista.

Gli attori di “Unfaithful” sono teatranti che fanno coppia anche nella vita, nell’ambito di note compagnie: Giulia Gallo e Giovanni Guerrieri con i pisani Sacchi di Sabbia, Giovanna Daddi e Dario Marconcini con il Teatro di Buti. Il testo dell’autore nordirlandese Owen McCafferty avrebbe potuto rappresentare l’occasione per sperimentare un derby tutto pisano, teatrale e metateatrale: mettere a confronto due differenti visioni della recitazione e dell’attore, magari anche conservando il sapore di una prova di lettura e lasciando che l’esperienza personale di coppia contaminasse il copione da interpretare. Rimane, invece, soltanto un compitino portato a termine distrattamente, con minimo sforzo e scarsa convinzione.