Tre desideri

«Ci sono due tragedie nella vita: non riuscire a soddisfare un desiderio e soddisfarlo»: così diceva Oscar Wilde. La vita è sogno? I sogni son desideri? Quel che è certo è che, dai tempi di Re Mida in poi, realizzare i propri sogni non sempre migliora la vita: anzi, rischia di complicarla irreparabilmente.

Ben Moor, autore e attore comico britannico, scrivendo “Three wishes” immagina che una misteriosa nube avvolga improvvisamente il pianeta Terra dando la possibilità a ciascuno di realizzare tre desideri, come una novella lampada di Aladino. In scena, i desideri appaiono come tre sagome tratteggiate sul fondale scuro: spazi vuoti da riempire e illuminare come si vuole. È necessario fare molta attenzione a ciò che si sogna, perché, una volta avverati, i desideri possono avere conseguenze impreviste: bisogna fare i conti con i desideri degli altri, e con il proprio stesso inconscio.

Così, partendo da una premessa “ai confini della realtà” che ha il sapore vintage di un film di fantascienza anni ’50, si può arrivare all’assurdo di Ionesco di un salotto inglese in stile “Cantatrice calva” in cui nemmeno ci si riconosce più, o all’effetto di déjà vu e l’eterno ritorno di “Eternal Sunshine of the Spotless Mind”. Il passaggio della magica nube cambia tutto e non cambia nulla: ciò che fa è catalizzare le dinamiche del rapporto di coppia fra i due protagonisti, facendo affiorare il non detto, i pensieri nascosti, l’altruismo, le meschinità e l’amore.

Lo humour è surreale e arguto, con il tocco geniale delle canzonette da juke-box che irrompono come valvola di sfogo. Mauro Parrinello ed Elisa Benedetta Marinoni portano in scena la commedia con interpretazione brillante e spigliata, avvalendosi anche di una mimica molto efficace, mentre Moor, supervisore artistico di questo debutto italiano, alla prima si nascondeva in mezzo al pubblico con tipico, meraviglioso aplomb inglese.