La vendetta per la vendetta è il tema della tragedia romana “Tito Andronico”, la più sanguinaria del Bardo inglese. Tito Andronico (Diego Migeni), valoroso generale romano reduce da battaglie vittoriose per l’impero, declina l’offerta del popolo e del tribuno Marco Andronico (Yaser Mohamed) di diventare imperatore (Dante lo chiamerebbe «il gran rifiuto» riferendosi a Celestino V), scatenando un vortice di violenza che travolge tutti: il figlio maggiore dell’imperatore defunto Saturnino (Marco Zordan), suo fratello Bassiano (Matteo Fasanella) sposo di Lavinia (Virginia Arveda) figlia di Tito Andronico, Tamora (Daniela Kofler) regina dei Goti e i suoi figli (Gioele Rotini), prigioniera di guerra e poi moglie di Saturnino e Aronne (Alessandro di Somma), subdolo manovratore – lo Iago di questa tragedia – Muzio (Valerio Persili).
Il regista Leonardo Buttaroni in “Titus Commedia Pulp” ha dichiarato di aver scelto una trasposizione alla Quentin Tarantino. La definizione può risultare più attraente per un pubblico giovane, ma non è importante. I versi scespiriani travalicano tutto: la violenza inaudita potrebbe risultare addirittura grottesca (il complesso confine tragico/comico in alcuni tratti viene oltrepassato dalla regia di Buttaroni, rischiando di rovinare tutto), ma è inutile perché proprio nei momenti più cruenti il verso scespiriano accarezza il pubblico con una dolcezza e conoscenza dell’animo umano (ma perché non si scrivono più versi in questo modo?). Dopo i drammaturghi greci, nessuno come Shakespeare ha saputo scrutare così l’animo umano, evidenziando l’insensatezza distruttiva di una violenza senza fine e operando quel processo catartico che nella violenza stessa ne crea l’orrore.
I protagonisti sono quasi tutti convincenti, di Tamora (Daniela Kofler) andrebbe un po’ sfumato l’aspetto seduttivo: è pur sempre una regina. Tito (Diego Migeni), che ha anche una certa somiglianza con il “gladiatore” Russell Crowe, è forte, intenso, dosa bene l’ironia relegandola a brevi parentesi. I riferimenti all’iconografia cinematografica avvicinano la storia ad un pubblico abituato agli effetti speciali (costumi e scene sono “metal”), ma, di nuovo, è poco importante. Shakespeare può essere trasformato in qualsiasi cosa proprio perché è infinito, profondo, universale.
Terzani dopo la tragedia statunitense dell’11 settembre in un articolo indirizzato a Oriana Fallaci ricordava che il teatro da Eschilo in poi aveva avuto il merito in Occidente di mostrare ed educare all’inutilità della violenza. Mai parole furono più adatte come in questo spettacolo, come in questo periodo. La conoscenza rompe il velo dell’ignoranza e della paura, i veri motori di ogni violenza, di ogni guerra. Da vedere, adesso, per non dimenticare.
Titolo | Titus Commedia Pulp |
Autore | William Shakespeare |
Regia | Leonardo Buttaroni |
Musiche | Alessandro Forte |
Scene | Paolo Carbone |
Costumi | Cristina Picuti |
Interpreti | Diego Migeni, Alessandro Di Somma, Marco Zordan, Daniela Kofler |
Durata | 120' |
Produzione | Accademia di Teatro e Musica Nomos, Associazione Culturale La Cattiva Strada, Cattive Compagnie |
Anno | 2015 |
Genere | Tragedia |
Applausi del pubblico | A scena aperta |
Compagnia | Cattive Compagnie |
In scena | dall'8 al 25 gennaio 2015 al Teatro trastevere |
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