«È difficile dire con parole di figlio / ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio. / Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, / ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore. / Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere: / è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia». Così Pier Paolo Pasolini iniziava la “Supplica a mia madre“.

Ma” è la figura materna che attraversa tutta l’opera pasoliniana; è, anzitutto, la madre di Pier Paolo: quella Susanna Colussi, maestra elementare, che si trasferì a Roma insieme al figlio e che Pasolini volle poi proprio nel ruolo di Maria di Nazareth per “Il Vangelo secondo Matteo“. Cosa può provare la madre di un grande e tormentato artista, che nei romanzi, nelle poesie e nei film ritrova se stessa in controluce, e che deve affrontare accuse e scandali, fino all’assassinio del proprio stesso figlio? Se il protagonista di “Mamma Roma” moriva pasolini2novembredisteso come un Cristo del Mantegna, la “Ma” immaginata da Latella è come un’archetipica Madonna, una Pietà stremata che non stringe nemmeno più fra le braccia il figlio ucciso.

Ma “Ma” non è immune dal peccato originale che affligge la maggior parte degli spettacoli contemporanei sul poeta di Casarsa: immancabilmente intervengono registrazioni della sua voce o brani tratti dai suoi film (estratti video o, come in questo caso, soltanto sonori) che non rispondono ad un’esigenza intrinseca, non entrano realmente in dialogo con la scena, ma sembrano piuttosto un tentativo per colmare un vuoto drammaturgico. Ascoltare il carisma drammatico, illuminato e visionario delle dichiarazioni di Pasolini o di frammenti delle sue opere non fa che mettere in risalto per contrasto, come in uno squarcio violento, le debolezze dello spettacolo all’interno del quale sono innestati.

Quella di Candida Nieri è un’interpretazione viscerale e sofferta, che angustia il microfono con lacrime e muco. Fa pesare ogni parola del testo, in una rotazione ossessiva attorno ai molteplici sensi della sillaba “ma”, che è madre e anche congiunzione avversativa, o dell’acronimo P.P.P., che è abbreviazione di “primissimo piano” e sigla di Pier Paolo Pasolini. Un dolore straziato così esibito ed insistito per tutto il monologo finisce per sortire l’effetto opposto all’empatia: allontana lo spettatore.

L’eccesso di enfasi non crea emozione: non serve gridare sollevando scarpe enormi come macigni, di fronte ad un riquadro posticcio popolato di lampade e abat-jour, per esprimere il dolore di tutte le denunce e i processi, le censure e le condanne. Chi ha visto la bella mostra dedicata dal Palazzo delle Esposizioni a Pier Paolo Pasolini qualche anno fa, ricorderà un’immensa parete di articoli di giornale: quella sì metteva i brividi, ed era, nel suo nudo silenzio, più eloquente.

TitoloMa
AutoreLinda Dalisi
RegiaAntonio Latella
MusicheFranco Visioli
SceneGiuseppe Stellato
CostumiGraziella Pepe
LuciSimone De Angelis
InterpretiCandida Nieri
Durata60'
Produzionestabilemobile compagnia Antonio Latella
CoproduzioneFestival delle Colline Torinesi in collaborazione con Centrale Fies, NEST
Anno2017
Generemonologo
Applausi del pubblicoRipetuti
In scenadal 21 al 26 marzo al Teatro India - Lungotevere Vittorio Gassman - Roma