Traduttore, scrittore, scrivente, giornalista e lettore. Un ultimo viaggio, per mettere insieme facce in un solo aspetto, quello di un’anima inquieta e insieme affamata di conoscenza. Enrico Filippini era fatto di questa essenza: aveva fondato insieme a Edoardo Sanguineti, Umberto Eco e Elio Pagliarani Il Gruppo 63’, il movimento denominato neoavanguardistico, noto per la sperimentazione della critica letteraria la cui ideologia si fondava sul plurilinguismo e sulla protesta al realismo.

Nani, così tutti lo chiamavano, ha trascorso la vita a rintracciare la propria forma, quella necessità letteraria che lo rese tanto schivo e fuggitivo. Si era cercato nel suo mestiere, nelle molteplici traduzioni dei romanzi di Günter Grass, Walter Benjamin, nei saggi su Franz Kafka. Una vita dentro le pagine dei suoi scritti e dei suoi autori, senza mai trovarsi. Con “L’ultimo viaggio”, atto unico scritto da Concita Filippini e Giuliano Compagno, si celebra l’intellettuale che fu. Quell’uomo condannato alla solitudine e ora al malanno terminale. La vicenda drammaturgica parte dal culmine del ritratto del giornalista. Dalla realizzazione di un’inadeguatezza: il tentativo di tenere in piedi un rapporto con la figlia Concita (Xhilda Lapardhaja).

Marco Solari oltre a firmare la regia si cala nelle fattezze dell’intellettuale svizzero, tirandone fuori un personaggio vizioso, come se lo avesse catturato nell’attimo più vulnerabile: la fine. Con i capelli arruffati e il pigiama smagliato, Filippini si presenta onestamente al pubblico, attraverso l’ultima lettera alla figlia, nella narrazione dei lunghi viaggi in treno, attraverso lo studio della lemma giusto. Filippini è un uomo in ritardo con gli amori, con la figlia e perfino con se stesso.  Solari, in grado di connettere varie sfumature del personaggio, esce talvolta dall’intellettualismo che gli impone la parte, per commentare, come una voce fuori campo, la biografia dello scrittore.

Sul palco solo un letto disfatto, vissuto; sul pavimento molti oggetti sparsi: scarpe, tazze, giornali, sigarette, una bottiglia di whisky, ma soprattutto libri. All’interno del perimetro della sterminata biblioteca, di cui la scena si abbellisce, vive il passato e i suoi protagonisti: Enrico Filippini, la figlia Concita ed Elena (Alessandra Vanzi), un amore passeggero ma costante. Filippini trascorre le giornate nella clinica “Quisisana” che nel nome sembra prendersi gioco del destino. Continua ad interessarsi alla letteratura, aspetta le visite della figlia con ansia. Condivide con lei i racconti, i ricordi di quando era piccola, inconsapevole del tempo mai dedicatole. Concita è un personaggio in attesa che nutre la speranza di poter recuperare uno rapporto sconosciuto. Col suono ludico di un carillon i due si ritrovano, forse per un attimo, ma senza coinvolgimento o pathos. E poi c’è Elena, immedesimazione dell’archetipo dell’amore giovanile; la ragazza del cuore mai dimenticata. Come una presenza spettrale inattesa e forte, la Vanzi si sposta col passo da gendarme ai quattro lati della scena. Il suo passaggio è illuminato da un occhio di bue fisso e algido. Sulle note di una chanson française, Elena e Enrico s’incontrano, volteggiano, sorridono.

“L’ultimo viaggio”, oltre ad essere una raccolta di testi edita dopo la morte dell’autore, è una drammaturgia ben organizzata che sviluppa un lavoro approvato dalla platea, ma è sicuramente l’eredità umana di un esteta e la storia di una conciliazione, compresa solo dopo un lungo estraniamento.

 

TitoloL'ultimo viaggio la verità di Enrico Filippini
AutoreGiuliano Compagno e Concita Filippini
RegiaMarco Solari
Musiche OASI Studio
LuciLuca Storari
Interpreti Xhilda Lapardhaja, Marco Solari, Alessandra Vanzi
Durata70'
Produzione Terre Vivaci col patrocinio dell'Istituto Svizzero di Roma
Anno2015
Applausi del pubblicoRipetuti
In scena 12 e 13 maggio 2015 al Teatro Vascello di Roma